Lo ammetto, sono un boomer.
Musicalmente parlando, ho paura del nuovo.

Specie se mi capita di conoscere una band per mezzo della sua ultima fatica discografica. Specie se così, a naso, la suddetta pare programmata per il cosiddetto "botto".

Perché il rischio é anche quello di essere bollato di appropriazione culturale, di venire accusato, nella fattispecie, di arrogarsi il consiglio dell'ascolto di "Mono" in virtù del provvidenziale algoritmo che me lo ha suggerito una mattina di fine novembre.

Ma tant'è, e comunque anche sti cazzi. Perché i Vintage Violence suonano un rock terra-terra e lo fanno con la stessa urgenza di De Andrè: colti ma pratici, lirici e prosaici allo stesso tempo.
Che poi, alla fine, paura del nuovo 'de ché?
Quí ci trovi la schizofrenia di serie di Franz Ferdinand e Billy Talent, la faciloneria piaciona di Francesco Gabbani ed anche una certa dose di spirito critico mascherato da nonsense che piace sempre ma funziona poco, vedi Elio E Le Storie Tese.
In pratica, un esperimento di laboratorio finito male, messo in piedi per il nobile scopo di fondere incazzatura e classe.
Una bottiglia di champagne spaccata in testa a Vittorio Sgarbi.

Questo é il rock italiano che andrebbe ascoltato anche su Marte.
Perché sì, ancora una volta, il rock italiano é vivo.
E non deve necessariamente piacere, però deve farci piacere.

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