"I sing of power, magic and faith, a sonnet of pure victory

A hymn to the spirits of freedom and grace, and wichever gods there may be"

Un gruppo magnifico. Questo erano i Virgin Steele nella seconda metà degli anni 90', capaci di reinventarsi ad ogni album, di saper donare una struggente drammaticità in alcuni pezzi, alternandoli ad una carica che in pochi, nel loro genere avevano dalla loro parte. Tutto ciò sapientemente legato alla straordinaria voce del cantate e leader David Defeis, il mai troppo elogiato chitarrista Edward Pursino, e il batterista Frank Gilchriest.

Ricordo ancora quando due anni fa, sentii "The Marriage Of Heaven And Hell Pt. I", mi fece un ribrezzo tale da riporlo nel dimenticatoio e cercare di scordarmelo dalla mente. Lo ripresi per distrazione un anno dopo, e paradossalmente, me ne innamorai. Uscito nel ’94, proprio quell’album segnò l’inizio di una nuova fase per i Virgin Steele, reduci da 6 anni di lotte contrattuali, e arrivati quasi allo scioglimento.

Fu grazie alla saga dei due Marriage, conclusasi poi con "Invictus" nel ’98, che il gruppo statunitense guadagnò quella fama che li fece consacrare come uno dei gruppi Epic Metal più importanti nel genere. Va detto anche i Virgin Steele furono una delle pochissime band ancora dedita a suonare con gli stilemi del genere. Infatti formazioni come Manilla Road, Cirith Ungol e Warlord si erano sciolte (anche se i primi temporaneamente), gli Omen avevano virato verso un sound più semplice, come anche i Manowar, Wotan e Doomsword esordirono al ridosso del 2000, e i Dark Quarterer rimasero in silenzio discografico per tutti gli anni 90’. Il peso quindi, se così vogliamo chiamarlo, di portare avanti un intero genere non sembrava infierire troppo sugli statunitensi, tanto che dopo aver pubblicato il già citato "Invictus", che gli diede anche la possibilità di esibirsi per la seconda volta al Wacken Open Air Festival, nell’anno seguente Defeis decise di trascrivere in musica una delle opere più celebri del poeta greco Eschilio, l’Orestea.

Basata su una trilogia,la prima parte dell’Orestea racconta del ritorno del Re Agamennone in patria, e della vendetta, con conseguente assassinio da parte della moglie Clitennestra per aver fatto sì che il Re sacrificasse la loro figlia Ifigenia agli dei per poter effettuare il ritorno in patria, tutto ciò con l’aiuto di Egisto amante della regina per far sì che egli potesse prendere il posto di Agamennone come sovrano. Non un operazione facile da completare quindi, quella di trasporre sotto forma musicale uno scritto di tale importanza.

In quasi un anno e mezzo, vede quindi la luce "The House Of Atreus - Act I". Ciò che fa rimanere a bocca aperta di fronte a questo lavoro, è la straordinaria versatilità vocale di Defeis, capace di impersonare più personaggi alla volta dando ad ognuno di essi un preciso compito, o un diverso stato d’animo, dalla snervante attesa del messaggero della Regina in attesa del ritorno di Agamennone ("Blaze Of Victory"), alla dolce vendetta dell’amante Egisto nell’aver vendicato il proprio padre uccidendo Agamennone ("The Gift Of Tantalos"), o ancora nella paura del popolo nel sapere della morte del loro Re, e dell’avanzare della tirannia ("And Hecate Smiled").

Non mancano certo i pezzi più tirati, dove Pursino e soprattutto Gilchriest possono rubare la scena. Reputo infatti che nei due atti di quest’opera, il batterista statunitense dia una delle sue migliori prestazioni, capace di essere preciso e diretto come pochi altri, ma anche di saper creare un’atmosfera da brividi. "Flames Of The Black Star (The Arrows Of Herakles) ne è un perfetto esempio, una prima parte scandita un ritmo quasi doom, e una seconda che mette in luce le sue indiscusse doti. In altre canzoni come "Great Sword of Flame)", la quale ha un riff da incornciare e un incedere da lasciare senza fiato, o l’iniziale "Kingdom Of The Fearless (The Destruction of Troy)", dove Defeis racconta con forse una delle sue migliori prestazioni vocali la distruzione di Troia appunto, e il rapimento della figlia del Re, Cassandra. Non sfigura neanche "The Fire God", pezzo riciclato e riarrangiato alla perfezione dall'album "Stay Ugly" dei Piledriver, prodotto guarda caso dai Virgin Steele. Altri pezzi lasciano solo lo stesso Defeis con il suo pianoforte a raccontare la storia, come nelle rapide e vorticose "Day Of Wrath" e "G Minor Invention", o nella sontuosa "In Triumph Or Tragedy".

Mi viene difficile descrivere "The House Of Atreus -Act I", se non con la parola capolavoro. Un album che vede una band nella sua forma più smagliante, che invece di sedersi sugli allori e godersi la fama dei precedenti lavori decide vistosamente di rischiare, creando a discapito di ciò che si poteva pensare, una delle più belle Metal Opera di tutti i tempi. Capace di non saper mai comporre un album uguale al precedente, David Defeis sul finire degli anni 90' dimostra alla critica musicale e ai propri fan ciò che è, ovvero un geniale compositore e cantante, accompagnato da altrettanto talentuosi musicisti. Se l'idea che avete dei Virgin Steele si basa solo sulle ultime uscite, o che il genere Epic parli unciamente di racconti di draghi e principesse, date un ascolto a questo album, vi renderete conto di quanto grande sia stato finora il vostro sbaglio.

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