Oltre il Rubicone: il regno del Tempo Assente…

Vito rappresentano la band di punta della label “indie” Flower Shop Records, creata da Robin Proper-Sheppard all’indomani dell’esordio di Sophia (opera II dopo l’esperienza meravigliosa e tragica dei The God Machine).

Ora che, esaurita la spinta creativa dell’ intera scena trasversale noise-rock, nu-metal, stooner e di certo “cross-over” (dai Queens of the Stone Age ai Deftones) che i God Machine avevano largamente anticipato a livello intuitivo, globalmente rileggibile come una “concettualizzazione” del metal, del rumore nel “rock” tout-court divenuti di fatto generi “colti” e più autoconsapevoli (si pensi all’intera parabola dei Dinosaur Jr) spentisi gli echi di certo “rumore” destrutturato (Sonic Youth, Boss Hog), amplificato a volumi inimmaginabili e contaminato con elettronica e ambient-dub (Fudge Tunnel, Scorn) diciamo, dopo che le intuizioni geniali dei Public Image Ltd. e di Lou Reed hanno in vario modo raggiunto la loro forma più compiuta ed estesa si avverte, a livello di nuove musiche, l’ esigenza (metatestuale e culturale) di “voltar pagina” : si afferma in tal modo il concetto e l’idea estetica di “post-rock”, ciò che da Tortoise ed Hurricane#1 ai Mogwai rappresenta il “nuovo”: melodie dolci, soffuse, “a lume di candela”, cantato sussurrato, quasi rotto dalla stessa emozione che avverte chi interpreta i brani, e contaminazione, inusitata, tra certa psichedelica e certe “reminescenze” del rock più tradizionale.

Non è un caso che Sophia, giunti a un discreto successo di pubblico ora siano approdati alla City Slang, che di tale “genere” e “approccio filosofico” rappresenta la label di punta. Vito è un progetto estremamente interessante: sin dall’incipit che recita “questo disco è stato creato per conciliare un sonno profondo, ristoratore e naturale… ” e l’attacco con percussioni lente in controtempo, chitarre liquide, melodie dolci e cantato ora sussurrato, ora più netto si riescono da un lato a rintracciare le “influenze” che ne informano la creatività, e dall’altro a cogliere la freschezza di idee realmente nuove. Delle influenze è presto detto: la melodia psichedelica ha nei Pink Floyd del periodo di mezzo (“Meddle” e “The Dark Side of the Moon”) la sua fonte più evidente, il sound elettrico ripropone le linee chitarristiche orientali di Screaming Trees e il mood "sospeso" dei Radiohead (alternanza tra “intimità” e impennate “rapsodiche” di noise-rock alla Codeine) essendo l’intera delicata e quasi “esile” struttura dei brani come “avvolta” dalla dolcezza e dalla grazia quasi “femminile” delle melodie (prevalentemente) elettriche, con cenni molto nascosti di elettronica… … presentati come una sorta di Sigur Ros che rileggono Ennio Morricone (nulla di entrambi i nomi citati nel disco), Vito sono la memoria e il suo superamento: ciò che si può apprezzare in gioielli di puro lirismo rock come “Arrested By These Phenomena” e “Falling Out” (xilofono-percussioni incalzanti e rumore melodico che fa riaffiorare il ricordo di My Bloody Valentine) con un cantato che a tratti sfiora la timbrica di Simon and Garfunkel.

Tra i (noti e imprescindibili) Velvet Underground e i (meno noti ma forse più essenziali per capire) Pond e Pigeonhead, entrambi del Nord-Ovest americano… un segno dei tempi?

Oltre il Rubicone: il Futuro, qualcosa che non spaventa più così tanto.

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