Si comincia male. Molto male. Un’ora di ritardo rispetto alla tabella di marcia, una lunga fila all’ingresso dell’Ex Dogana, Roma. Mozziconi di sigaretta per terra, dozzine di fruitori arrivati puntuali e costretti, addirittura, ad attendere davanti alle transenne. Si comincia – dicevamo – male, ma quantomeno per una buonissima causa. Al Nowhere Festival suonano Lino Capra Vaccina, William Basinski, Hieroglyphic Being; messa su questo piano, vale la pena attendere e ingoiare il rospo. Si comincia – lo abbiamo già detto? – male; ma la cosa inaspettata è che si prosegue peggio.
Sbloccata la coda e pagato un biglietto (corretto sottolinearlo) ragionevolmente basso, si entra in sala mentre Vaccina sta già suonando. Dopo pochi istanti, agli ancora pur non numerosissimi presenti, è subito chiaro l’andazzo della serata. Difficile immaginare uno spazio scenico peggio congegnato per la proposta in cartellone. C’è il bar da una parte dello stage; l’ingresso dall’altra; e poi un’enorme sala che dà su un enorme cortile. Il risultato è un chiacchiericcio costante che sovrasta, dal primo all’ultimo secondo, l’intera performance del compositore italiano, in sacrificato trio, che tuttavia non batte ciglio con estrema professionalità. Ma il disastro è là da venire. Quando Basinski fa il suo attesissimo come-in, la situazione degenera velocemente. L’artista invita il pubblico a spegnere i cellulari e non fare riprese video; poi, immediatamente, comincia a chiedere un non rispettato silenzio intorno. Quando le cose sembrano un pelo essersi stabilizzate, ecco che il live prende forma e sostanza – dopo una dedica, sentita e applaudita, a Sua Maestà David Bowie. La sensazione che possa durare è vanagloria.
Quando non si è completamente distratti dalle orde barbariche, per nulla arginate da un’organizzazione a dir poco fallace, lo si è dai barman che preparano mojito, caipirinha e moscow mule. Non si tratta – importante ribadirlo – solamente di gigantesca ineducazione. È un problema intrinsecamente legato alla scenografia, all’idea, alla forma: completamente inadatte a ospitare quei nomi e quei suoni. Non è la prima volta che un musicista pretende un audience fedelmente zitto, esistono tempi e modi per arginare – quantomeno – l’emorragia vociante d’una massa interessata al 25%. Eppure niente di tutto ciò avviene. Come se gli artisti – pari a dei pupazzi – fossero stati piazzati per gioco in un habitat fintamente “giusto”, dunque clamorosamente sbagliato. Come chiamare Michelangelo per una commissione, e poi dirgli che deve dipingere sopra un paio di scarpe rotte.
Dopo una serie di «shut the fuck up!», Basinski prosegue lo show visibilmente contrariato, con la faccia e il body language di uno che non vede l’ora di finire. E noi con lui. Abbandona la postazione in anticipo, sorretto dagli applausi di chi lo comprende e appoggia pienamente. Forse per questo Hieroglyphic Bling, ben accorto e scottato dall’ambiente, propone un set decisamente loud: cassa continua e carne fresca agli squali. Sebbene regali un’esibizione di livello, la serata è ormai, purtroppo, compromessa.
Non esistono scuse che tengano per simili leggerezze. Per non garantire né agli ospiti né agli astanti le condizioni richieste per una corretta fruizione dell'evento. Sebbene sorprenda – non è la prima volta – lo stato brado dell’educazione musicale romana, sorprende più il Nowhere-pensiero. Duole dirlo, ma nomen omen. Si spera in meglio per le prossime puntate.
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