Opera fondamentale della cosiddetta "New Hollywood" in combutta con l'altro poliziesco per antonomasia "Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo" entrambi del 1971. Se, però, il secondo venne affidato ad un veterano smaliziato come Don Siegel, il primo venne affidato a un 35enne che fino ad allora aveva sulle spalle 4 film di cui nessuno davvero memorabile o, comunque, di successo. Ma, appunto, le cose stavano cambiando, e giovani registi come Spielberg, Coppola, Allen, e appunto Friedkin si affacciavano alla ribalta.
Che fosse un poliziesco che nulla aveva a che fare con i vecchi classici degli anni '40 fu palpabile fin da subito. Se fino ad allora si era puntato sul fascino misterioso del poliziotto o, meglio, del detective privato, limitando la violenza al minimo e aumentando il tasso di sentimentalismo (mai smielato, ma certo l'inteccio amoroso era comunque previsto), grazie alla caduta del famigerato Codice Hays (grazie a quel capolavoro di Arthur Penn, "Gangster Story", 1967) finalmente si poteva puntare più sul ritmo, gli inseguimenti e la violenza. Insomma, i poliziotti e i cattivi (che spesso erano la stessa cosa) sparavano, ammazzavano e lo facevano vedere.
L'idea del film parte da un'inchiesta giornalistica, poi divenuta opera letteraria, di Robin Moore che raccontava di un traffico di eroina che coinvolgeva la criminalità americana e quella marsigliese. Eddie Egan e Sonnie Grosso, gli agenti dell'operazione, vennero utilizzati come consulenti da Friedkin per rendere ancora più veritiero il film. Ovviamente, al regista interessava la realtà, e dunque non solo la narrazione ma bensì anche il linguaggio e i dialoghi del film diventarono innovativi e sbalordirono il pubblico dell'epoca non abituato a un torpiloquio simile (molto casto in verità, se consideriamo le successive opere di Scorsese e, poi, Tarantino, ma il segnale di un nuovo modo di far parlare i personaggi di un film nasce qui). E, ciliegina sulla torta, un inseguimento in cui una macchina segue a rotta di collo la direzione della metropolutana destinata a fare epoca. Anche se, in questo caso, la portata innovativa è meno clamorosa, dato che un inseguimento a folle velocità (e dunque un capolavoro di montaggio) è, come noto, presente già due anni prima in "Bullitt".
Friedkin però è un regista coi fiocchi, e l'alternanza di scene ritmatissime a momenti di dialogo si miscelano in modo esemplare. Il taglio, a volte, è semi documentaristico, e la raffigurazione del protagonista, Jimmy Doyle, è antesignana di tutta una lunga sequenza di poliziotti dai modi non proprio ortodossi che affolleranno lo schermo da lì fino ai giorni nostri. Il mix tra esigenze spettacolari e la voglia di raccontare l'esistenza, spesso infausta, dei rappresentanti della legge è riuscitissima, merito anche della fotografia di Owen Roizman.
Nota a parte merita l'eccellente cast. Si è già detto tanto di Gene Hackman, qui divenuto realmente divo (nonostante avesse già 41 anni), e merita ogni lode, ma non vanno dimenticati i co-protagonisti, uno scintillante Roy Scheider (negli anni '70 al massimo della propria popolarità) e un Fernando Rey che Friedkin nemmeno avrebbe voluto (vide Francisco Rabal in "Bella di giorno" e chiese alla produzione lui come attore, produzione che però capì male e gli scritturò il suddetto Rey, anche se mai errore fu più felice).
Friedkin, che dopo questo film girò "L'esorcista" prima di buttarsi completamente via con un flop come "Il salario della paura" (1977) e non riprendersi praticamente più (anche l'ottimo "Vivere e morire a Los Angeles", 1985, fu un insuccesso inopinato), trovò il jolly che gli permise l'immortalità cinematografica. Fu un successo trionfale e vinse 5 Oscar (miglior film, regia, attore protagonista, sceneggiatura non originale, montaggio) e creò un solco che molti avrebbero, con fortune diverse, percorso.
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