Piccola premessa: essendo un fan di Woody Allen (ma roba che potrei pure tentare di parlare bene di "To Rome with Love", per dire, e finirei giustamente spernacchiato) proverò ad essere il più obiettivo possibile, ma in questo caso, onestamente, c'è poco da essere obiettivi, questo è uno dei film più belli di Allen, da classifica, da mettere lì vicino a "Crimini e misfatti" o "Broadway Danny Rose" ("Io e Annie" e "Manatthan" no, i santi non si toccano) e forse, se si considera parzialmente "Blue Jasmine", di due anni dopo, l'ultimo grandissimo film di Allen, a cui seguiranno pellicole dignitosissime ma senza quel guizzo, quella genialità, quell'intuizione di cui questo film è totalmente pervaso.

Uscì nel 2011, un era geologica fa e divenne ben presto un grande successo, anche in Italia. Allen all'epoca aveva già 76 anni e di recitare non ne aveva più voglia da un pezzo (ritornerà davanti alla macchina da presa proprio col succitato "To Rome with Love"), era "solo" (si fa per dire) regista e sceneggiatore. Ha questa idea, un uomo che si perde a Parigi, non sa bene come svilupparla e non ha nemmeno idea di chi potrebbe essere l'attore protagonista. Inizialmente avrebbe dovuto essere un professionista della East Coast, a cui forse avrebbe prestato il volto qualche giovin attore come anni prima Jason Biggs in "Anything Else" (e Jason Biggs era quello di "American Pie"), poi una collaboratrice di Allen butta lì il nome di Owen Wilson, che di californiano ha davvero poco. Allen è perplesso, poi, pian piano, ne capisce le potenzialità e sviluppa la trama sul carattere di Wilson, che diventa uno sceneggiatore hollywoodiano in crisi di idee (e ambizioni letterarie) sperso a Parigi.

Ognuno di noi avrebbe voluto vivere in un'epoca lontana e magari evitarsi questi tristi giorni (ma anche no, magari c'è chi ne è felice) e l'idea di base è questa, un uomo che ha sempre mitizzato gli anni Venti parigini si trova, misteriosamente, di notte catapultato in quegli anni, e qui discute, o semplicemente incrocia, tizi come Heminghway (che riporterà il protagonista alla realtà consigliandogli di prestare più attenzione alla propria fidanzata, e chi avrebbe potuto dare un consiglio del genere), Picasso, Gertrud Stein, Luis Bunuel (al quale il protagonista propone una specie di sceneggiatura de "L'angelo sterminatore", film di Bunuel di inizio anni '60, a cui il regista risponde picche non capendo l'idea di fondo della trama), Salvador Dalì ma pure artisti ottocenteschi, visto che il nostro si perde anche nella Parigi di quell'epoca, ed ecco palesarsi Degas, Lautrec e Gauguin.

Ora, io non so chi tra i lettori di questa recensione sia stato a Parigi. Io la considero magnifica, la città europea più bella, ed in effetti da turista si respira sempre un aria d'arte e cultura, nelle vie del centro, che, tipo, a Londra o Madrid difficilmente si respira a pieni polmoni (Roma fa storia a sé), e l'idea di un uomo che di notte ritrova il suo mondo all'interno di un altro mondo, quello alla luce del sole, è geniale, visto che le strade del centro della metropoli francese e le sponde della Senna sono, da sempre, il teatro ideale di un mondo magico che Allen aveva già parzialmente toccato in "Tutti dicono I love you" (che però era, fondamentalmente, un musical, un grande musical). Il periodo europeo alleniano, che inizia nel 2005 con "Match Point" e che, dopo Londra e Parigi, vedrà approdare il nostro anche in Spagna e in Italia, tocca con questo film il suo apice, forse l'unico film possibile che un sognatore con i piedi per terra come Allen avrebbe potuto creare.

Ritmo disinvolto, battute a raffica (alcune strepitose ("Sesso e alcol: accendi il desiderio, uccidi la prestazione"), piccole massime da mandarsi a memoria ("Che Parigi esista e qualcuno scelga di vivere in un altro posto nel mondo sarà sempre un mistero per me!") e alcune, perdonabilissime, autocitazioni (l'inizio è Manatthan versione parigina, con l'idea che Parigi, come Venezia, sotto la pioggia sia ancora più bella) e un omaggio ai grandi classici del passato ("Arianna" di Billy Wilder). Il pastiche di commedia colta e letteratura alta è soprendentemente riuscito, come ad Allen non accadeva da tempo (si possono trovare difetti anche in "Match Point", qui è difficile).

Vinse un Oscar (miglior sceneggiatura originale, l'ennesimo premio dato ad Allen) e ricevette, con stupore, anche gli elogi di Tarantino che lo indicò come una delle pellicole più belle (delle dieci, per l'esattezza) dell'anno. Un capolavoro.

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