Noto con certo dispiacere che su questo sito non è ancora presente alcun contributo all'opera di una delle più interessanti e originali formazioni della scena Jazz-Rock europea, gli Zao. Motivo per cui farò prima una breve presentazione di questo gruppo francese dalla curiosa denominazione, per poi passare all'analisi di quella che può considerarsi la sua opera più significativa (di certo, quella di maggior successo e risonanza).

Gli Zao (nome ricavato dai testi esoterici della Kabbala) sono il risultato della collaborazione tra il fiatista Yochk'o "Jeff" Seffer (ugualmente abile a suonare sax, flauto e clarinetto) e il pianista Francois "Faton" Cahen, sorta di Keith Tippett d'oltralpe in quanto a eclettismo stilistico nonché figura tra le più influenti del Jazz contemporaneo francese. Entrambi i nomi suoneranno forse familiari ai cultori di certo Prog "estremo": e difatti, sia Seffer che Cahen hanno fatto parte del nucleo originario dei Magma, quello cioè che, fra il 1970 e il 1972, consegnò alla storia monumenti del calibro di "Kobaia" e "1001' Centigrades". Inoltre, i due sono anche noti per aver partecipato al progetto collaterale degli Univeria Zekt, ideato da Christian Vander con l'intervento di pressoché tutti gli stessi musicisti del giro-Magma, e titolare nel 1972 di un unico (e dimenticato) album, dal titolo "The Unnamable"; ad un primo ascolto dell'opera, si avvertiva fin da subito la sensazione d'aver a che fare con una musica più malleabile e di certo più facilmente classificabile rispetto alla devastante e sperimentale avanguardia che i Magma avevano sino allora prodotto: Jazz-Rock, in buona sostanza, di quello che andava per la maggiore all'epoca seppur con punte di Fusion "ante-litteram"; uno stile indicativo di quanto, di lì a poco, avrebbero fatto gli Zao. Ed è probabile che la dipartita di Seffer e Cahen dai Magma sia stata proprio dovuta al fatto che entrambi, jazzisti di formazione, non condividessero del tutto l'ulteriore inasprimento del sound di Vander e soci: inasprimento che in album altamente ostici e complessi come "Mekanik Destruktiw Kommandoh" e "Kohntarkosz" (mi scuso se tralascio il segno di dieresi, come invece vorrebbe l'ortografia kobaiana), avrebbe trovato definitiva espressione.

Completa l'organico fisso degli Zao il batterista Jean-My Truong, paragonabile a un Walter Calloni o ad un Furio Chirico per agilità e dinamismo (batterista dunque particolarmente adatto alle difficili e sostenute trame ritmiche del gruppo); negli anni, l'ensemble rimarrà comunque aperto all'intervento di svariati collaboratori esterni, tanto che in "Kawana" (il quarto album in studio, del 1976) ad affiancare i nostri sono il bassista Gérard Prevost (esperto di sonorità "fretless") e il violinista di formazione classica Didier Lockwood, che tradizione vuole suoni un violino avuto in regalo da Jean-Luc Ponty.

Di tutte le prove di studio degli Zao, "Kawana" è senz'altro la più calibrata e misurata: in parte si sono attenuate le influenze Zeuhl simil-Magma che ancora pervadevano i primi album ("Z=7L" e "Osiris", in paticolare), e ciò non è necessariamente un male, dal momento che il suono ne guadagna in termini di compattezza ed organicità. La musica degli Zao vira a una Fusion variegata, composita e mai monotona, con elementi di Free Jazz ed improvvisazione atonale portati da Cahen, e suggestive atmosfere etniche est-europee, la cui paternità va invece attribuita a Seffer, musicista di origini ungheresi. Sia dunque sgomberato il campo dal sospetto d'aver a che fare con dei "Magma di seconda categoria", dato che gli Zao possono considerarsi stilisticamente autonomi e portano avanti un discorso originale e, per gli amanti di certo Jazz-Rock contaminato, senz'altro interessante. A volte (ma raramente, sia detto) fanno qua e là capolino quei classici e bizzarri vocalizzi che chi ha apprezzato i primi Magma ha imparato a riconoscere, ma le somiglianze non vanno molto oltre; se si pensa poi che nell'album precedente a questo ("Shekina", del 1975) Cahen, peraltro validissimo arrangiatore, aveva sovrapposto il tessuto sonoro Jazz della band sullo sfondo di un quartetto d'archi, allora non si avranno più dubbi sulla pregevolezza artistica dei nostri.

"Kawana" ha inizio con un pezzo, "Natura", in cui a segnalarsi è soprattutto la vorticosa (e in parte claustrofobica) tecnica pianistica di Cahen, oltre ai precisi interventi fiatistici di Seffer: frequenti sono i cambi di ritmo e tonalità, finché a metà del brano viene introdotto il violino di Didier Lockwood, il cui contributo solista è (almeno in questo caso) più limitato rispetto a quello dei due leader, ma pur sempre adeguato all'atmosfera generale dell'album, a tratti cupa e inquietante.

Segue una composizione dalla ritmica molto Funky, "Tserouf", in cui affiorano echi dei Weather Report e le calde sonorità del "fretless" di Prevost la fanno da protagonista, sebbene continuo rimanga l'ostinato dialogo tra tastiere e fiati che, più d'ogni altro aspetto, caratterizza il suono degli Zao.

Dopo due lunghi brani in prevalenza aperti all'improvvisazione, ecco un breve intermezzo classicheggiante ("Fleurs For Faton") dominato dal violino di Lockwood, che disegna trame suadenti e rilassate sopra il discreto accompagnamento del piano di Cahen; una piacevole parentesi, tanto per riprendere fiato. Ma è solo un episodio, poiché l'album riprende subito quota con i ritmi sincopati di "Kabal" e i toni da Fusion simil-Perigeo di "Sadie", due eccellenti composizioni firmate da Cahen.

Chiudono l'album due lunghe parentesi dedicate ancora una volta all'improvvisazione collettiva, entrambe sopra la durata dei dieci minuti: la prima, "Free Folk", ricorda qualcosa dei Magma negli insoliti vocalizzi corali che la introducono, ma si sintonizza ben presto sulle sonorità più congeniali al gruppo, con ottime linee di basso acustico e riff scanditi dalle peculiari sonorità del synth di Cahen; la seconda, "Salut Robert!", dall'andamento più accelerato e dall'impostazione ancor più sperimentale della precedente, vede la presenza di ulteriori collaboratori (nel dettaglio, Christian Saint Roch sostituisce Truong alla batteria, mentre Bill Gagnon prende il posto di Prevost al basso); ad impreziosire il tutto sono stavolta gli esotici interventi percussionistici di Michel Seguin, mentre furiosi sono gli assoli di Seffer sopra le costanti trame di piano elettrico intessute da Cahen.

Quattro stelle di valore storico, dunque, e album imperdibile per chiunque voglia farsi un'idea più approfondita della scena alternativa francese di quegli irripetibili anni

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