Un esordio un pochettino in ritardo rispetto alla ciurma camaleontica del kraut. 1972.
Tanto erano cosi diversì dal resto da non sembrare neanche tedeschi. E ti pareva che non c'era la figura di spicco in mezzo a questi capelloni crucchi? Si, Michael Hoenig, può darsi non riverito come Gottsching o Schulze, ma anche lui autore di opere inverosimili come "Malesch" e il suo "Departure From The Northern Wasteland". L'Oriente è stato fonte d'ispirazione per molte band tedesche e non, specialmente se si pensa a Woodstock, al raga e all'"Hare Krishna" Claudio Rocchi con "Volo Magico N.1". Si sono presi come simbolo del movimento avanguardistico del rock la pace interiore, le visioni estasiate e la rottura con la città e la famiglia antiprobizionista. Un'innovazione che come sappiamo non è stata effettuata in maniera totalizzante, basta guardare ancora dopo quarant'anni le difficoltà sociali, il razzismo xenofobo e i problemi politici. Il "sogno" e l'illusoria facilità di essere indipendenti, liberi da qualcuno o qualcosa e cambiare radicalmente l'assetto della società hanno mostrato vita breve. La lungimiranza c'è stata invece nel creare arte, quadri e musica, ancora opere insuperabili e con band che tra qualche decennio saranno considerate la "musica classica" del Novecento. Mi riferisco al prog inglese e al kraut sicuramente.
Tornando agli Agitation Free vediamo il viaggio in Egitto effettuato con il Goethe Institute e l'efficienza nell'aver inscatolato per bene le idee, le esperienze e le sensazioni destate da questa terra magnifica. L'ambiente del deserto, la pesantezza del caldo e l'arte delle piramidi hanno sbloccato la creatività della band, che si dimostra perfetta rivale di tanti nomi grossi. Con questo primo lavoro hanno certificato la loro presenza tra i grandi della scena tedesca, rendendolo meteora per l'assenza di suoni così eclettici nel secondo album. E' fantastica la freschezza del suono, nonostante gli accenni alla psichedelia americana, ma ancora più convincente è l'accostamento con le seguenti realtà. Ci trovo una maggiore concretezza e solidità rispetto agli Amon Duul, troppo legati a degli schemi "dark" che risultano un pò ingenui oggi, e meno ruvidità di "Amboss". Sono nella perfettà stabilità e via di mezzo che non rende dispersivo il sound.
L'introduzione "You Play For Us Today" ci delizia subito con l'esotismo e il basso da far invidia a Waters di "A Saucerful..". L'ambient si delinea lentamente ma non ci vuole troppo a inquadrare subito l'assetto e gli obiettivi della band. Mi sarebbe soltanto piaciuto aver un Uli Trepte (Guru Guru) alla batteria per sostenere in maniera ancora più marcata e tribale il lavoro degli altri. La chitarra manifesta le coordinate dei gruppi dela West Coast e si inasprisce con il wah wah, usato spesso durante i brani per riempire di più i suoni. L'album è un vero e proprio concept, da far scorrere senza interruzioni, arrivando sorprendentemente ai surrealismi di "Sahara City" e di "Ala Tul". Qui si mette in mostra specialmente Hoenig, che rivede con le sue doti e intuizioni la lezione di Froese. Non c'è voce ma lo si preferisce impostare con brani strumentali che favoriscono la riflessione interiore e non disturbano cotanta bellezza con magari il rischio di proporre una voce "debole" e anonima.
Le ritmiche sono ossessive e ipnotiche e allo stesso tempo minimali, condite dagli effetti elettronici. L'apice lo si raggiunge con la vorticosa e quadrata titletrack e con "Rucksturz" che chiude l'opera magistralmente, proponendo un disegno dell'Egitto del tutto inedito. Non si tende a un concetto mastodontico, opprimente e minaccioso, ma bensì a una fluidità che non fà invecchiare malamente l'opera. Da scoprire o risentire in modo più accurato.
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