1996. Tra tanti inediti, di successo e non, nuove hit, meteore sanremesi, raccolte, album live e ennesimi tentativi, c'è anche il secondo, e quasi sicuramente il più conosciuto, album live di Angelo Branduardi. Artista folk e folk rock, ma non solo. Violinista maestro, chitarrista classico e acustico con un'ottima preparazione tecnica, ma c'è dell'altro. Perché Branduardi è anche uno dei pochissimi cantautori italiani a organizzare una specie di "viaggio nel tempo" con talento e raffinatezza per quei suoni, quegli strumenti e quelle parole che, ancor prima del genio barocco e neoclassico, hanno in un qualche modo costruito le fondamenta più solide che la musica popolare potesse desiderare. Gusti personali o no, siamo tutti più o meno d'accordo che il suo tocco strumentale, il suo eclettismo nella composizione e la sua ricerca continua con la penna e lo spartito continuamente infusi nei suoni del Medioevo e dell'epoca classica siano quantomeno qualcosa di inusuale nell'Italia cantautorale degli anni '70.
Al di là dello studio storico e della preparazione, c'è il lato più pratico. Sono anni che scrive ottimi inediti, magari non così di successo come il suo più celebre trittico discografico ("Alla fiera dell'Est" del 1976, "La pulce d'acqua" del 1977 e "Cogli la prima mela" del 1979) ma sempre caratterizzati per la loro originalità e le le loro particolarità, più qualche raccolta, ma sono passati ben sedici anni dal suo ultimo album dal vivo. Il suo tour "Camminando camminando" (il nome proviene da un passaggio di una canzone, "I Santi", del 1994, dall'album "Domenica e Lunedì", tra l'altro una delle più recenti contenute nell'album) ottiene un successo planetario. In Francia, Germania, Austria e Svizzera il polistrumentista di Cuggiono sembra essere ancor più considerato e stimato che in Italia. I musicisti che lo affiancano non sono certo dei novelli sconosciuti: Andrea Braido e Corrado Sfogli, per esempio, "colorano" le chitarre, prevalentemente classiche, e fanno sì che acquistino un'importanza quasi pari a quella del violino di Angelo, strumento talvolta appoggiato per imbracciare una terza chitarra. Questi suoni acustici molto ben studiati contribuiscono a dare personalità a uno spettacolo che già di per sé, come si può sentire nel disco, non ha nulla di banale o noioso. Quasi fenomenale l'intro acustico, freschissimo e frizzante, creato per "Cogli la prima mela", in "La Pulce d'Acqua" la scelta di non portare sul palco l'oboe e il clarinetto che caratterizzavano l'orecchiabile versione originale fa però posto al violino, al mandolino e al flauto: un rifacimento che assolutamente non fa male alla canzone, più semplice in positivo. Pur senza strumenti medievali e orchestre enormi sul palco, l'atmosfera folk e storica nel discosi ricrea con semplicità. La fantastica "Ballo in fa diesis minore", tra testo e perfetta atmosfera musicale, è forse l'unica che, nella versione live, fa rimpiangere il clavicembalo, le trombe e i tamburi (ma parliamo, per chi non lo conoscesse, di un brano che, per essere riprodotto perfettamente dal vivo, necessita come minimo di un'orchestra specializzata) ma non mi sento di criticarla tanto in quanto rimane uno, a mio parere, dei più alti esempi di folk italiano, in qualunque versione (assieme naturalmente alla melodia che la ispirò, Schiarazzula Marazzula, e al testo che fece da base al suo, una vecchia incisione del Settentrione italiano). Non cambiano più di tanto invece la mitica "Vanità di Vanità" (che ricordo con affetto per essere stata canzone d'introduzione di uno spettacolo in cui ho recitato al laboratorio di teatro del liceo) e "Il dono del cervo", che cambiano leggermente solo per la maturazione della voce rispetto alla versione studio, registrata più di quindici anni prima in entrambi i casi. Avviene così, grosso modo, anche in "Alla fiera dell'Est", tra i suoi classici che non potevano mancare (oltre alle già menzionate, anche "Il violinista di Dooney" e "Il signore di Baux") mentre "Si può fare", pur rimanendo un brano d'impostazione musicale folk, acquista sfumature pop nell'introduzione e "Fou de Love", oltre al caratteristico testo ricco di sfumature etniche (un equilibrio tra poesie in lingue latine e germaniche di rara pregevolezza) viene arricchita dalla raffinata chitarra elettrica di Braido, cosa piuttosto rara nel repertorio storico di Branduardi. Volendo evidenziare due cose che non mi piacciono più di tanto, l'assenza di "Confessioni di un malandrino" tra i brani di nicchia e la sua sostituzione con "La luna", che ritengo molto meno originale sia testualmente sia musicalmente.
Prima di chiudere, qualche piccola curiosità: per chi possedesse il disco, vi è anche inciso un saluto d'apertura in tedesco (di fatti gran parte degli elementi sono stati registrati nelle date tedesche della tournée) e tra successi e nicchie ci sono anche due ottimi brani inediti, un po' fuori dallo stile di tutto il disco, ma apprezzabili ("Piccola Canzone dei Contrari" e "L'apprendista stregone") per i loro suoni originali e freschi e per i loro testi, firmati da Giorgio Faletti, molto simpatici e abbastanza divertenti, carini.
Per concludere, posso dire che "Camminando Camminando" è stato il disco live più apprezzato di Branduardi perché contiene veramente il meglio del suo repertorio, riarrangiato e rinfrescato nei suoni, e ammetto che mi sarebbe piaciuto vedere quei concerti, se non altro per imparare prima a conoscere il repertorio di un cantautore così originale, spontaneo, genuino e tecnicamente ottimo. Volendo essere teatrali, un'orgia di suoni e colori sonori che merita un ascolto.
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mrbluesky
24 ago 18Falloppio
24 ago 18Falloppio
24 ago 18Bromike
24 ago 18Falloppio
24 ago 18Bromike
24 ago 18Zimmy
24 ago 18Recensione, direi, impeccabile.
Bromike
25 ago 18iside
25 ago 18nix
25 ago 18Quando andavo alle medie, fine anni '70, la maestra ci faceva ascoltare "alla fiera dell'est", e tutti ascoltavamo rapiti. E' così che presi a seguire questo stranissimo cantautore, completamente estraneo dalla realtà contingente italiana, quel "reale" che tutti i cantautori, in un modo o in un altro, interpretavano e restituivano, chi più politicamente schierato (es. Finardi), chi più accostato alla poesia (es. De Andrè o De Gregori).
Ciò che colpiva me e tutti gli amici che lo apprezzavano (molti per la verità) era la sua caparbietà nel seguire rigorosamente il percorso artistico che si era scelto fin dall'inizio. Mai una variazione, mai una novità. Sempre dischi splendidamente realizzati, con una tecnica e una raffinatezza di arrangiamenti assolutamente unica nel mondo dei cantautori italiani. Per ritrovare questi livelli di cura formale dovevi cercare fuori dall'italia, forse nel progressive inglese. Molte bellissime canzoni, piene di melodia.
E tutto ciò in un'Italia di sconquassi e bombe, in pieni anni di piombo.
Ricordo il primo live, triplo, citato opportunamente da Zimmy. Un'opera di un livello tecnico stratosferico. La summa della sua opera.
Branduardi, prodotto e organizzato da quel geniaccio di David Zard, riempiva gli stadi! Vedere Branduardi nel 1979 era un pò come vedere i Genesis di Peter Gabriel epoca 1973. Il pubblico era lo stesso e aveva lo stesso entusiasmo.
Poi improvvisamente, per motivi che sarebbe interessantissimo approfondire se qualcuno ne ha voglia, passò di moda. Ricordo bene il suo primo tonfo discografico. Era il 1981. L'album "Branduardi", (quello dell'"Amico") non funzionò e fu l'inizio della fine. Tutto fu molto repentino. Dal 1982 in poi, Branduardi non interessava più nessuno o quasi.
I suoi dischi in vinile sono sempre stati ricercatissimi da negozi e collezionisti.
Credo che non sia "morto" artisticamente, e la felice recensione di Bromike lo dimostra. Cambiò semmai la proporzione del suo fenomeno: da musicista che riempie gli stadi ad artista molto di nicchia che canta in teatri davanti a poche centinaia di persone.
Sono dell'idea che un approfondimento del fenomeno "Branduardi" consenta di capire molte molte cose sulla storia della musica pop italiana.
Bromike
25 ago 18iside
25 ago 18Falloppio
25 ago 18zaireeka
26 ago 18Johnny b.
29 ago 18