In questa recensione non parlerò di dati tecnici, né farò una critica al manuale, anche perché penso che questo testo, essendo l'immenso capolavoro e il mastodontico super classico che tutti noi musicisti classici gli riconosciamo, sia già perfetto così com'è. Ok, magari avrà bisogno di alcuni aggiornamenti, dato che questo libro, col titolo di Manuale di armonia, è uscito nel 1963, ma l'impiqnto del Trattato, per quanto mi riguarda, va lasciato così com'è.
Prima di continuare, ci tengo a sottolineare che il Trattato di armonia è la trattazione più ampia di Funzioni strutturali dell'armonia, altro testo assolutamente fondamentale di Schönberg (di cui sono in impaziente attesa di una nuova edizione in volume), in cui il compositore austriaco, fondatore della Seconda scuola di Vienna, in cui aveva riunito due suoi allievi, ovvero Alban Berg e Anton Webern (non dimentichiamo, noltre, che, in quel periodo, stava mettendo in pratica ciò che per la musica del Novecento è un'innovazione davvero straordinaria, ovvero la dodecafonia [o serialità]). I compositori successivi, come ad es. il veneziano Luigi Nono (che ha sposato Nuria, la figlia di Schönberg), Henze, Hindemith, e così via (fino ad arrivare al compositore e direttore d'orchestra francese Pierre Boulez (allievo della scuola di Darmstadt e che ha composto, tra l'altro, Le marteau sans maître [ovvero Il martello senza padrone], hanno poi portato il metodo compositivo seriale alle sue estreme conseguenze, dando origine alla serialità integrale. Il testo, un capolavoro incredibile, tranquillamente avvicinabile ai testi di Massimo Mila, come ad es. il favoloso Brahms e Wagner, raccolta di saggi pubblicata dall'Einaudi, di cui posseggo la primissima edizione del 1994. Di cosa tratta questo testo? È presto detto: di armonia, ovvero di quella disciplina che si occupa dello studio delle diverse successioni di accordi (o/e di suoni). Per citare un esempio pratico, mi concentrerò in particolare sul primo tempo del Quartetto op. 15 n. 1 di Gabriel Fauré, una mia avventura di studio. Innanzitutto, va detto che il primo tempo di questo Quartetto è in forma Sonata, per cui è strutturato secondo la canonica forma classica, codificata appunto nel periodo classico: esposizione - sviluppo e ripresa (a quest'ultima può seguire una più o meno estesa coda che porta al vero e proprio epilogo del brano). Questo significa che i due temi che vengono esposti all'inizio, sono in due tonalità diverse tra di loro (quando si hanno tre temi [vedi ad es. le due Sonate per clarinetto e pianoforte op. 120 di Brahms], il primo tema è nella tonalità d'impianto del brano (per fare un riferimento a questo libro [e per usare le parole dello stesso Schönberg], si dice che il primo tema è nella 'regione' della tonica], il secondo viene esposto nella 'regione' della dominante [che è il quinto grado della scala] e il terzo in una tonalità diversa, scelta dal compositore, e questa tonalità può essere sia vicina [o 'relativa', che è la stessa cosa] alla tonalità d'impianto, che lontana. Queste sono le regole dell'armonia classica. Fauré, invece, inizia già a 'rompere' con queste regole, e inizia a sperimentare, proponendo soluzioni innovative, che hanno aperto la strada ai compositori successivi. Infatti, per tornare al Quartetto di Fauré, il primo tema è nella 'regione' della tonica, ovvero in Do minore; il secondo tema, invece di essere in Re minore, ovvero nella regione della dominante, come vorrebbero le regole dell'armonia classica, grazie a un lungo ponte modulante, alla fine si atterra in Mi bemolle maggiore che, oltre a essere la relativa maggiore della tonalità d'impianto del Quartetto, è anche la sua mediante, ovvero il terzo grado della scala.
Come si potrà intuire, questo testo è per chi si occupa già di questioni squisitamente musicologiche, ma include anche delle importantissime riflessioni pedagogiche che sono ancora attuali.
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