Una grande delusione. Un flop evidente. Un album inconcepibile. Questo e altro è da considerarsi "Oversteps", ad oggi - se non contiamo l'ep "Move of Ten", che in realtà si avvicina più ad un full lenght che ad un ep - l'ultimo disco degli Autechre. Un album dove il duo di Manchester riscopre definitivamente la melodia (cosa già preannunciata in diversi momenti del precedente "Quaristice") non lesinando tralaltro approcci giocosi stile "LP5", ma che a differenza di quest'ultimi due - melodici si, ma anche ritmicamente imponenti - ha come conseguenza quella di mettere del tutto da parte questa stessa componente ritmica, da sempre un punto di forza importante nell'arte degli Autechre.
Il problema è che questa melodia non sembra portare proprio a nulla, e non è un caso che qualcuno, un fan probabilmente, parlandone scriva, "Autechre lost their souls completely" e devo dire si tratta di una definizione poi non troppo lontana da quello che Oversteps ci propone, un disco che non solo diviene di colpo più accessibile, più pop, più massa, ma che alla fine dei fatti risulta vuoto, freddo, asettico, evanescente, un inno al nulla.
E' "r ess" ad aprire il tutto: strato dronico astratto e synth cosmico compongono la lunga intro, di due minuti, seguita poi da un beat minimale in tempi dispari, tra idm, jazz e minimal wave; ne viene fuori una traccia psichedelica, che nel fondale atmosferico richiama ai territori offuscati di "Confield" - ma in modi decisamente meno evocativi - mentre ritmicamente aleggia il fantasma di "Tri Repetae": il risultato è però freddo e l'ispirazione latita non poco (un leit-motiv che si ripeterà più volte nello scorrere del disco). Di nuovo intro criptica e droni subacquei si affacciano sulle prime battute di "ilanders", forte stavolta di un beat più sporco e duro, synth taglienti e nervosi, sequenze electro stile Gescom e bassi grassi tra acid e "Quaristice", mettendola, come prima, sulla sperimentazione e l'utilizzo di sonorità innovative - che almeno su questo avvio non mancano, salvo poi sparire a lavoro inoltrato - ma il risultato è tuttavia ancora una volta il nulla in musica.
Sonorità e sperimentazioni che su "known(1)" ci riportano sulla via degli Autechre che preferiamo, quelli che, appunto, la mettono su sperimentazione e innesto di sonorità nuove nel mondo dell'elettronica; si tratta di una traccia stranissima, incatalogabile, senza ombra di ritmo alcuno, uno dei pochi lampi di genio dell'opera, con un synth dissonante che sembra una specie di banjo, a cui si aggiunge poi un altro riff - sempre con lo stesso pseudo banjo - piu melodico e 'asiatico' a-là "LP5"), e un terzo synth giocoso e glitchato che osa con intricate modulazioni timbriche in quello che è un bilanciato mix tra dissonanza e melodia che difetta però di una stesura probabilmente trascinata troppo a lungo. Sulla medesima scia "pt2ph8", delicata divagazione ambient priva di ritmo, basata proprio su questo bilanciato mix, tramite synth dissonanti che riescono al tempo stesso ad essere melodici, sfoggiando ancora una volta singolari reminescenze asiatiche; l'esperimento riesce però meno che su "known(1)", e dopo i caotici fasti degli ultimi anni è anche abbastanza strano sentire il duo cosi mansueto, alle prese con un ambient-digitale che gli ultimi minuti di "Quaristice" avevano già fatto presagire come un nuovo possibile iter artistico, ma in modalità nettamente più ispirate.
L'avvio di "qplay" ci fa pensare al terzo brano su questo stile, non fosse che poi entra un beat cervellotico e distorto che contrasta di nuovo con la dolce melodia nostalgica (che poi si fa via via piu dissonante) ricordando, sia ritmicamente che melodicamente, idee già sentite sull'accoppiata "LP5" / "EP7" , mentre i subdoli acidismi melodici riportano a "Quaristice"; un brano che è grande sfoggio di tecnica, sebbene monotono e con poche variazioni (il che per loro è una novita) ma abbastanza banale, avvicinandosi ad un non troppo riuscito miscuglio tra le uscite più mielose della Merck e lo shredder più freddo, quello che suona scale, scale, e ancora scale al servizio del nulla più assoluto: decisamente non un pezzo degno della loro fama, come del resto non lo è "see on see", esperimento ambient fondato su complessi riff pseudo-casuali di synth FM ad emulare il suono di un carillon, ancora una volta dai connotati asiatici, ancora una volta senza lasciare il segno.
"Treale" non è solo l'unico brano ad essere riportato con l'usuale prima lettera maiuscola, è anche il top dell'intero disco, come se gli altri brani in minuscolo fossero tralasciabili, di passaggio, beffardi. Il pezzo sfoggia archi visionari di scuola Detroit e beats dalle sembianze hip hop modello "Envane" che osano persino un semplice e usuale rullante che batte sugli altrettanto usuali 2/4, una novità quasi assoluta per un progetto che ha sempre rifiutato l'utilizzo di convenzioni ritmiche classiche, ma che si rivela azzeccata, come azzeccate del resto sono le sezioni melodiche, divise tra il giocattoloso, il dissonante, il melodico, e al solito generanti un contrasto - stavolta col vaporoso pad detroitiano e il clima molto ansioso del brano - . Ancora una volta, però, gli Autechre non sanno ripetersi, ed ecco che a seguire questo gioiellino sono la scialba "os veix3" (passaggio minimale e dissonante che suona molto machinedrum, con squarci melodici ad apparire timidamente tra una cassa e l'altra) e la monotona "O=0" (nervosa melodia al solito tra FM, Asia, "LP5", ritmica anonima e ridotta all'osso), due pezzi, questi, che come accade piiù volte nell'album hanno inoltre la rilevante lacuna di trascinarsi eccessivamente per le lunghe senza particolari variazioni (che furono nei parti precedenti il loro marchio di fabbrica, fornendo sempre quel senso di evoluzione continua / brano con vita propria).
Gli Autechre più astratti li troviamo, con un pò di ritardo, soltanto alla decima traccia, "d-sho qub", e sebbene il riff iniziale quasi synth-pop (!) possa far temere il peggio le texture rumoristiche di fondo ci fanno pensare ai migliori Autechre, mentre lo sporco beat in 4/4 ci porta alla mente il Clark degli ultimi tempi e il suo non troppo riuscito ibrido tra techno-dritta e idm-frammentata; qui invece l'accostamento riesce meglio, con queste ritmiche che si fanno poi sempre piu complesse, mentre un delirio di rumori digitali e artefatti algoritmici disturba quanto di melodico prova a fare la melodia che, anch'essa, va poi diventando sempre piu dissonante; molto bella la parte puramente rumoristica a meta pezzo, dove i due cercano di dare del loro meglio, limitandosi però ad un compitino preoccupante per quelli che sono i loro riconosciuti standard, molto bella anche la chiusa drone finale, tuttavia anche questo pezzo risulta un esperimento noioso, senza ne capo ne coda, magari anche accettabile e tra le migliori dell'intero lavoro, ma sarebbe stata tranquillamente la traccia più debole di un "Untilted" o "Confield. Stessa sorte e stesso esempio tocca a "st epreo" (cervellotico pezzo acid-idm con fondale dronico e stesura stile jam libera che fa molto "Quaristice"), mentre "redfall" (mediocre e prevedibile divagazione digital-ambient con droni rarefatti sullo sfondo), "krYlon" e "Yuop" (ulteriori momenti fondati unicamente su brevi contentini rumoristici e morbide progressioni sintetiche che non portano a nulla se non al classico spot per la sintesi FM avanzata) sono la voce più autorevole di quello che è "Oversteps", un album vuoto, monotono, senza ispirazione alcuna.
A Brown&Booth va dato però atto, in alcuni pezzi, di esser nuovamente riusciti ad innovare, con suoni e idee mai sentite prima; purtroppo queste idee sono rappresentate in un numero di gran lunga minore che in passato, e il risultato è quello di cui abbiamo appena parlato, un disco che faticherete ad ascoltare una seconda volta, che vuole porsi più melodico e accessibile, ma che in realtà fallisce anche sul suo presunto obiettivo 'easy listening'. Forse non è un caso che poco dopo, i due, generalmente dai tempi lunghi tra un disco e l'altro, pubblicheranno "Move of Ten", da loro presentato come un ep, ma in realtà una sorta di album, release di gran lunga più astratta/ritmica/dettagliata/sperimentale che va un pò a svolgere il ruolo che "EP7" - anch'esso un album mascherato da ep nei suoi 60 e più minuti di durata - ebbe per "LP5" (grande disco certo, ma decisamente inferiore a quest'ultimo), ossia completamento e sviluppamento delle idee iniziali, follow-up, disco bonus, outtake... chiamatelo un po come volete.
Ma "Move of Ten" riuscirà nello stesso intento?
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