“The Myth of the Happily Ever After” è il decimo album dei Biffy Clyro, e di per sé questo dato è già incredibile; un disco che riesce a sorpresa a fare meglio del più orecchiabile “A Celebration of Endings” (del quale doveva essere il fratello minore, con una doppia uscita poi rivisitata) e che riesce anche nello straordinario traguardo di segnare il miglior lavoro del trio scozzese degli ultimi anni.
È oggettività appurare come la band dell' inquieto Simon Neil e dei fratelli Johnston sia tra le più ispirate in assoluto nell'attuale panorama europeo, ma con questo lavoro il risultato è stato forse oltre le aspettative.
Dal progressive all' art rock con alcune sfumature R&B, l'opera è un misto di arte canora e sonora stupefacente, in cui spicca subito il ruggito del singolo "A Hunger in your Haunt", che insieme alla complessa "Errors in the History of God" riesce a portare il prog ad un livello mainstream come di rado negli ultimi anni.
Abbandonati da tempo e ormai definitivamente i nostalgici sentieri del grunge, i brani più intimi come "Holy Water" e "Existed" rimandano ad un più romantico piano rock, mentre "Haru Urara" e "Unknown Male 01", primo fortunato singolo estratto dal disco, sono quanto di più vicino al controverso fenomeno dell'Arena rock. Su questo aspetto bisogna puntualizzare come la musica da arena stia quasi diventando un inesorabile logorio. Troppe band, anche di spessore, hanno trovato la scorciatoia dei ritornelli da stadio, con risultati non sempre credibili; questo però non è il caso del trio scozzese, che riesce a non cadere nel calderone delle banalità sonore e canore, anche grazie a dei testi che analizzano i complessi meccanismi delle relazioni umane che aiutano ad evitare l'insidia dei cliché.
Nel complesso "The Day of the Happily Ever After", è il risultato di un lavoro che può anche non piacere ma è oggettivamente progettato alla perfezione, con una scrittura e una produzione di calatura mondiale, il dovuto traguardo di una band che non può continuare ad essere ignorata da una buona fetta di pubblico, anche generalista. In questo caso lasciando andare una buona dose di soggettività, seppur utilizzando meticolosamente il termine, non considero fuorviante definirlo un capolavoro del rock contemporaneo, quantomeno per come il genere sta continuando a porsi in anni in cui pecca di brillantezza e sana cattiveria. Da sottolineare infine il monito della traccia di chiusura "Slurpy Slurpy Sleep Sleep", che con un effetto ipnotico ricorda di non perdere tempo e amare tutti. Con “The Myth of the Happily Ever After” i Biffy Clyro dimostrano di voler andare oltre ogni confine, da quelli complessi dei rapporti umani, a quelli ambiziosi dei panorami mondiali, cercando per l'appunto il consenso di un pubblico quanto più eterogeneo possibile.
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