Copertina bianca, impalpabile. Asettica. Titolare del disco e titolo dell'opera. Nulla di più. Quando si dice: la SINTESI...

Voi lo chiamate "minimalismo" - e con "voi" intendo i professori del suono e dell'immagine, che certo avrebbero parole più forbite e interessanti per descrivere questa copertina. In effetti "minimale" lo è - e se "minimale" è anche la musica qui contenuta, la copertina potrebbe diventare qualcosa di più di un impalpabile asettico sfondo bianco. Potrebbe diventare quella che si dice "dichiarazione d'intenti". Cioè, è come se il titolare - che poi conoscerete molto bene o spero, e conoscendolo già un'idea ve la sarete fatta - avesse preso la parola e avesse detto: "Signori, aspettatevi qualcosa di non meglio precisato. E questo qualcosa vi procurerà noia e sonno, magari, ma magari anche no. Magari in quello sfondo bianco non ci vedrete altro che, appunto, uno sfondo bianco - ma magari anche no. Magari potreste vederci linee invisibili - e come vederle, se sono invisibili...? Ecco, magari sforzate l'occhio, magari dategli libero sfogo e facoltà creatrice, e allora qualcosa potreste vedere" - un po' come dentro il quadrato nero di Malevic': cazzo ci vedo, se è buio pesto...? Ma sforzatevi un po': il quadrato sta lì, indelebile, non va via. Elementare, provocatorio (irridente...?). Il resto sta a voi. Non so se lo sapevate, e se non lo sapevate sapevàtelo, che il pubblico crea l'opera come e più dell'artista. L'artista dispone, suggerisce. Il pubblico/l'ascoltatore riceve ed elabora. Definisce, insomma.

L'ascolto di "Invisible Design" non scatena, non trascina, non prende di peso. Ti da carta bianca e ti dice: "Sei libero di pensare. La strada c'è ma non è segnata, e si definisce di secondo in secondo, di minuto in minuto, come sembianze appena distinte deformate dal buio". Rumore, silenzio. Silenzio, rumore. Ordine e disordine, struttura e decomposizione. E i suoni fretlessiani, vellutati e lividi, dentro una nera notte di sogni ad occhi aperti ed orecchie tese. Teatri ambientali desolati, sussulti in mezzo alla vuota sospensione di una foschia primordiale - e Lei, Comandante Guevara, avrebbe mai immaginato di riscoprire la "sua" Cuba sommersa dentro questo placido oceano di eteree, pulsanti vibrazioni...? E la piazza di una città greca risuonante di metalliche impressioni, spettrali come suoni riverberati e filtrati da un orecchio attento e iper-sensibile...? E rallentate arie notturne soffuse su sfondo dub, e la pace dei sensi indotta da riff semplicemente PERFETTI come quello di "Aisha", di quelli che entrano dentro una volta e non se ne vanno più...? Indelebili, come un quadrato monocromatico.

Nessun voto, nessun giudizio. Pura Sensazione.

 

 

 

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