Tra i nomi più rappresentativi dell'elettronica degli ultimi anni spicca quello di Simon Greene, noto a molti con il moniker Bonobo.
Proveniente da Brighton e trapiantato negli Stati Uniti (prima a New York, poi nella calda Los Angeles), Greene ha sviluppato con il tempo uno stile sempre più personale. Allontanatosi dal mix di hip-hop e downtempo degli esordi, ha incorporato elementi di world music, ambient e jazz che hanno caratterizzato il suo sound, divenuto progressivamente etereo e suggestivo.
I dischi degli anni Dieci hanno rivelato Bonobo al grande pubblico, tuttavia se in Black Sands è ancora forte l'influenza dell'hip-hop, i successivi The North Borders e Migration sono vicini a universi house e post-dubstep (un approdo favorito da un maggiore uso di sintetizzatori e sonorità elettroniche).
Nel 2022 Bonobo ritorna con Fragments, album registrato in un periodo difficile come quello attuale, caratterizzato da una pandemia che sta condizionando le nostre esistenze e i nostri rapporti personali. Simon è rimasto bloccato a Los Angeles e, non potendo tornare nel Regno Unito, ha approfittato della situazione per organizzare escursioni naturalistiche. Ha visitato le dune di sabbia della Death Valley e la scoperta di quei paesaggi metafisici lo ha forse ispirato. È lo stesso artista a ricordarlo in un'intervista pubblicata da Billboard:
Living in Southern California, especially coming from the U.K., the whole landscape around here is kind of strange and weird and wonderful and just there to explored. And it’s a good way of having experiences that don’t involve travel or getting amongst crowds of people. I really took the opportunity to get out — and also just exploring L.A. There was this unique situation of not having any traffic, and being able to just traverse the city and find your corners.
Fragments è insomma figlio dei nostri tempi, contraddistinti da distacco, riflessione, solitudine. Ma veniamo ai particolari e cerchiamo di collocare questo lavoro nella discografia di Bonobo.
Sgombriamo il campo da equivoci: l'ultima fatica di Simon Greene non si distacca da quanto fatto nell'ultimo decennio. Ci sono gli accostamenti tra strumentazione live e digitale, le strizzate d'occhio alla musica da club, la capacità, ormai nota, di fondere atmosfere impalpabili e una certa concretezza. Questo cocktail di elementi, tutto sommato affascinante, è accompagnato da una produzione troppo curata e manieristica, vero punto debole dell'opera. Non mancano i momenti positivi, ma alcuni brani avrebbero funzionato meglio con arrangiamenti essenziali o semplicemente con un suono meno patinato.
Nonostante ciò, il nuovo LP di Bonobo risulta scorrevole dall'inizio alla fine. Questa piacevolezza è favorita dalle melodie realizzate con synth modulari, dai bpm spesso sostenuti e dalla presenza di voci prestigiose, come quella di Jamila Woods in "Tides", uno dei pezzi più belli di Fragments.
È bene ribadire le differenze con Migration, molto evanescente e influenzato dall'ambient. A prevalere, qui, è il lato club-oriented di Simon Greene, che si rivela in maniera piuttosto varia. Incontriamo momenti deep-house (il singolo "Shadows", l'intreccio di sample vocali e sonorità aeree di "Age of Phase"), ritmi 2-step ("Otomo", "Closer") e una traccia come "Sapien", dove a farla da padrone sono i battiti irregolari e un'aggressività raramente riscontrata nella musica del producer britannico. Notevoli anche "From You" e "Day by Day", più rilassate e con ottimi cantati.
Attraversando la tracklist ci imbattiamo varie volte in archi, arpe e sax, che a tratti arricchiscono le composizioni e in altri frangenti sembrano eccessivi, con il rischio di risultare stucchevoli (come avviene nella sospesa "Elysian").
Resta poco da aggiungere. L'analisi, infatti, tratteggia l'immagine di un disco riuscito, più apprezzabile se si è a digiuno di buona musica (un pensiero espresso da un amico quando discutevamo dei Blackalicious).
Infine trovo fuori luogo alcune critiche lette online, che parlano di mancanza d'ispirazione e declino artistico: Fragments, al contrario, ci restituisce un Bonobo in forma, colpevole solo di aver infiocchettato un po' troppo le sue produzioni.
Non siamo ai livelli di Black Sands, ma il giudizio è senza dubbio positivo.
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