Carrie è un film del 1976, di Brian De Palma, in cui per la prima volta il regista italo-americano mette in scena il primo romanzo di un giovane scrittore dal futuro radioso, Stephen King. Ad esso, sarà abbastanza fedele l’adattamento di Lawrence D. Cohen: è il primo film girato da De Palma di cui quest’ultimo non sia anche lo sceneggiatore.

Carrie è’ ambientato in un’anonima città americana degli anni settanta: villette in legno col prato verde davanti, ampie strade dei quartieri residenziali, percorse da chevrolet, maggiolini e Ford Mustang, high school e ballo di fine anno.

Qui, più che altrove, chi si adegua è dentro, gli eccentrici sono fuori.

Carrie è molto eccentrica. A scuola, le sue stranezze, sono causa di esclusione e della terribile cattiveria delle coetanee che ne fanno il proprio capro espiatorio di tutto. Le figure di riferimento in fondo le capiscono: Carrie è una gran scocciatura, non si comporta come le sue compagne, ignora il “ciclo mensile” e qualsiasi altro aspetto del proprio corpo.

La scuola per Carrie sembra essere ciò che una decina di anni più tardi sarà per Leonard Lawrence la scuola per marines. Entrambi sono inadeguati e sono presi di mira, ma entrambi hanno dei poteri: Leonard ha una mira eccezionale, Carrie ha dei poteri telecinetici.

La loro è la storia di un tentativo di inclusione e di riscatto fallimentare.

Tuttavia, l’intreccio dei due film è diverso. La situazione iniziale, come abbiamo visto, è da incubo, e, a peggiorare e in un certo senso causa di tutto, vi è una situazione familiare prima di soggiogamento, poi di conflitto: Carrie vive con la sola madre, una puritana integralista con turbe psichiche, che vede nella perpetua penitenza l’unica via per la salvezza dal peccato, quindi, pretende da Carrie totale morigeratezza, afflizione e pentimento.

Carrie non vuole questa vita, così, da una situazione iniziale da incubo, inizia un percorso di miglioramento, che, se Carrie fosse stata Cenerentola, andrebbe a finire col ballo e l’innamoramento del principe.

Ma Carrie è una storia triste e una fiaba horror. Mentre il cielo si sta rasserenando e la fortuna finalmente le sta sorridendo, due compagne stanno architettando qualcosa alle sue spalle, ma sotto gli occhi degli spettatori. Sue, la brava ragazza, compie un ambiguo gesto di purificazione, offrendo di nascosto il proprio accompagnatore a Carrie per il ballo di fine anno; Chris, la cattiva, prepara la sua vendetta dopo essere stata esclusa dal ballo.

Lo spettatore sa che accadrà qualcosa di grande durante. Conosce i piani segreti di Sue e Chris, di cui il regista mostra il culmine in modo sincronizzato, attraverso la duplicazione dello schermo. Conosce i poteri di Carrie. Le tre ragazze sono invece ignare dei piani e dei poteri delle altre. Tutte resteranno sorpresi da come andrà a finire.

L’unico a sapere che la tragedia sta per incombere e viene avvinghiato allo schermo per sapere come si scatenerà, oggi come nel 1976, è lo spettatore; questo perché, anche se alcuni temi possono sembrare datati, ancora attuali o efficaci risultano la struttura, i dialoghi, la colonna sonora del film, il cui tema sottolinea il carattere triste e onirico della storia, e lo stile di De Palma.

Dal piano sequenza iniziale in cui lo sguardo piomba dall’alto su una scolaresca fino ad osservare lo sguardo, i grandissimi occhi celesti di Carrie, e il sorriso innocuo, triste e malinconico della protagonista; passando per il voyeuristico rallenty successivo negli spogliatoi femminili; arrivando fino al terribile carrello che riaccompagna una terrorizzata e sanguinante Carrie dentro la doccia: il film si subito subito come un laboratorio e un esercizio di geniale stile registico del giovane De Palma.


Quindi, indubbiamente, Carrie è, per chi non lo conoscesse, una lacuna da colmare. per tutti gli altri, un film da rivedere: perché non si vede un buon film, un buon film lo si può solamente rivedere.

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