Ma quale Davy Crockett e il suo famigerato cappello a coda di tasso. Se mi dici Crockett, c'è una sola cosa che mi viene in mente.

O meglio, una sola frase.

"Crockett e Tubbs, andate voi!"

La pronunciava sempre Martin (Castillo), e la voce era quella storica di Oreste Rizzini - il Michael Douglas degli anni d'oro. Una voce da non poter dimenticare. E la pronunciava da dietro la sua scrivania sempre piena di scartoffie, perché all'Anti-droga il lavoro non mancava mai. Alle sue spalle, la vetrata e lo sfondo in rosa del suo ufficio. Non aveva mai un'epressione definita, Castillo, col suo faccione butterato. Ma era questo il bello.

"Crockett e Tubbs, andate voi!"

Perché andavano sempre loro, quando c'era un caso che scottava. Qualche volta andava Tubbs con Switek - il grande Stan, di cui invidiavo l'ineguagliabile collezione di camicie - quando Crockett non c'era, magari perché si era preso un permesso per andare a trovare il figlio ad Atlanta. Ma la vera coppia erano loro: Sonny e Rico.

"Li possiamo incastrare, Martin"

"No, non abbiamo abbastanza prove"

Il canovaccio di fondo, pur con le varianti del caso, era quasi sempre quello. Trafficanti e pezzi grossi da incastrare, ma mai abbastanza prove. E un carico che sarebbe arrivato al porto, prima o poi. Perché il carico arrivava sempre, da Panama o Barranquilla o un altro posto del genere. E quando il carico sbarcava, pronti Sonny e Rico a intercettarlo. Poi arrivavano Gina e Trudy, magari - rigorosamente in tacchi e abito da sera, ma quasi sempre dopo.

Trafficanti (cubani di Little Havana, colombiani, nicaraguensi: faceva poca differenza) con immancabile catenone d'oro sul petto villoso, circondati da una carovana di tirapiedi anche quando se la spassavano nei loro harem, regolarmente ospitati all'interno di ville con piscina e campi da golf. Le linee art-deco, gli interni hi-tech, il kitsch di statue classiche che troneggiavano nei salotti: un mix impareggiabile.

E puoi anche sforzarti di immaginare una Miami diversa - ma per chi non si è perso manco un episodio, Miami sarà sempre quella. La vedevi e la sognavi sulle note di Jan Hammer (ta-ta-ta-ta-ta) quando spuntavano le palme e partiva la sigla - e subito dopo i fenicotteri rosa, il motoscafo che impennava, la Ferrari bianca che sfrecciava, i grattacieli di Downtown. Tutto ciò è Leggenda, semplicemente. Più che Storia.

E i vestiti. Quei pantaloni dentro cui si sguazzava. Che sullo schermo facevano sembrare tutti bassi e larghi, potere della moda oversize. Si dice oggi che la moda di quegli anni ispirò Miami, era vero il contrario: fu Miami a ispirare la moda di quegli anni. Da Coconut Grove a Key Biscayne, Sonny e Rico dettavano le tendenze. Colori pastello a volontà, rosa a iosa, giallino spesso ricorrente. Le spalline di dimensioni astronomiche rifinivano degnamente il look dei due poliziotti più glam del piccolo schermo. Tutto meraviglioso.

'Non siamo solo un reparto, Martin: siamo una squadra. Questa è la nostra forza'. Come dimenticare quei finali spesso densi di sentimento, al pari di quelli sulla barca di Sonny: "E' il bello e il brutto del nostro lavoro, Rico. Ma non lo cambierei mai".

E fra tanti ricordi quasi dimentico che - almeno in linea teorica - sto scrivendo la recensione di un disco.

Ma fate conto che l'abbia già scritta. Pensate a palme, pensate a hotel anni '80, pensate a riflessi blu-rosa-violetto sulla veranda di una villa con piscina, pensate a una corsa in Ferrari lungo Ocean Drive. E una colonna sonora fatta di sintetizzatori moroderiani, ritmi sequenziali e break effettati di drum machine, di quelli dichiarati illegali dopo il 1989.

E pensate a Sonny e Rico, a Gina e Trudy, persino a Switek dentro il suo furgone, mentre origliava conversazioni attraverso una microspia. Quanto erano fighi.

Oppure, a Martin dietro la sua scrivania.

'No... non abbiamo ancora abbastanza prove'

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