In ogni album di Mimì ci sono perle meravigliose che per fortuna nessuno potrà mai distruggere, violentare, maltrattare, perchè ormai stanno lì e resteranno. Bisogna averli tutti i suoi dischi. Io che ce li ho non riesco più a dire quali siano i più belli, quali possano essere i brani "essenziali" per un'eventuale best of rappresentativo. Per questo, se devo parlare di "Lacrime", non intendo esprimermi con frasi tipo "uno dei più belli", "tra i miei preferiti", no, perchè amo praticamente tutto quello che lei ha fatto. Amo l'intensità e la verità della sua arte, quel suo essere sempre fuori dal tempo e fuori dalle mode, al di là dei lustrini, al di là del potere: una donna curiosa e innamorata, con un dono immenso, la musica.
Comunque voglio parlare di "Lacrime". Un album che è stato inciso vent'anni fa, ma che sento particolarmente attuale, perchè in fondo è l'ultimo album di inediti di Mia Martini, quindi è come se la sua musica e la sua voce si fossero fermate a quel periodo, allora come fosse ancora adesso.
Nel 1992 Mia Martini è ormai giunta a un livello espressivo pazzesco: dopo il ritorno al successo e la riscoperta da parte della canzone d'autore, aveva affrontato il jazz e la canzone napoletana. "Lacrime" è un album che rappresenta Mia Martini in varie vesti musicali: c'è la grande interprete che va a Sanremo con brani di grande successo popolare, c'è la signora sofisticata dei cantautori, c'è la folksinger che si diverte a cantare in napoletano senza disdegnare le atmosfere etniche; c'è una donna che si esprime sui problemi di altre donne, sui cambiamenti della società. Anche per questa sua eterogeneità, è un album che ha ben poco di commerciale: forse l'unica canzone di grande impatto è "Gli uomini non cambiano", un brano col quale Mia Martini torna a parlare al grande pubblico, cosa alla quale teneva moltissimo. Nel disco troviamo parecchi spunti di riflessione, spesso caratterizzati da una sottile vena ironica, tipica della Mimì degli ultimi anni, come se fosse questa la sua ultima arma contro la sofferenza: sulla copertina, le lacrime del titolo escono fuori da una cipolla, e questo per sdrammatizzare, in quanto "Lacrime" non doveva essere un disco "triste".
Per la realizzazione dell'album, Mia Martini si affida al team del compianto Giancarlo Bigazzi, autore del successo "Gli uomini non cambiano": una canzone che può non piacere (e infatti a molti non piace), ma che senz'altro non poteva essere interpretata meglio. Cioè, "Gli uomini non cambiano" è uno di quei pezzi che affidati a una qualsiasi altra inteprete rispetto all'originale, perde il 90% della sua forza: anni fa l'ho sentita interpretare in tv da Manuela Villa ed era una roba davvero imbarazzante, alla fine risultava una cazzata melodrammatica post-femminista con finalino speranzoso. Questa canzone, fatta da un'altra cantante, non ha senso, perchè nessuna riesce a renderla credibile, a renderla "una cosa seria". Lei ci riusciva, grazie a quella sua voce incredibilmente profonda, viscerale, ma anche e soprattutto grazie alla sua esperienza di donna matura ormai logora per le delusioni. Il finale ("quelli innamorati come te") era pura ironia, lei non ci credeva. Comunque io amo davvero quest'interpretazione, la considero una delle sue più grandi in assoluto, in cui confluiscono disperazione, rabbia, amarezza, con grinta mista a rassegnazione e sfinimento. Da brividi.
A Sanremo '92 fu vittima di una delle più grandi ingiustizie nei suoi confronti: la mancata vittoria all'ultimo secondo. Dopo 17 anni avrei in mente un bel sondaggio per stabilire quale canzone sia rimasta più nell'immaginario collettivo: "Gli uomini non cambiano" o "Portami a ballare" di Luca Barbarossa? Ma credo che l'esito sia abbastanza scontato. Lei (e non solo lei) ci rimase malissimo per il secondo posto, e aveva ragione.
Avrebbe dovuto classificarsi prima anche all'Eurofestival (dove la fecero partecipare, cosa che in genere spettava di diritto al vincitore di Sanremo), ma anche lì Mia Martini pagò per l'ennesima volta il suo essere italiana: non poteva vincere un italiano perchè l'anno successivo sarebbe toccato all'Italia organizzare la manifestazione e sappiamo bene qui da noi com'è considerato l'Eurofestival.
Biagio Antonacci, Mimmo Cavallo ed Enzo Gragnianiello sono i tre cantautori dell'album. Di Antonacci è "Il fiume dei profumi", un brano bellissimo, in cui la voce di Mimì riesce a rendere al meglio il sapore di questo amore lontano, la malinconia del soldato che scrive alla sua donna nel bel mezzo di una guerra, perdendosi nei ricordi. Mimmo Cavallo firma "Dio c'è", un brano discreto che avrei arrangiato un po' meglio, eliminando quei brutti cori alla fine per esempio. Il testo non è male e Mimì lo interpreta con grinta, denunciando la poca umanità di un mondo che è cambiato troppo in fretta, perdendo troppi riferimenti importanti: già allora le cose cominciavano ad andare male e questa canzone non era poi così scontata in un album di una cantante italiana di questo tipo. Poi c'è "Il mio oriente", sempre di Mimmo Cavallo, ed è uno dei brani più affascinanti dell'album, in cui Mimì torna ad omaggiare esplicitamente la musica etnica con dei cori che ci rimandano alle atmosfere di brani del passato come "Milho verde" (1976), "Nanneò" (1981) e "Lucy" (1985), in cui si respirano e si fondono Mediterraneo, Oriente, Brasile e tutti i Sud del mondo, dove in qualche modo Mimì ha sempre identificato e collocato una parte importante di sè stessa. A testimonianza del suo amore per il Sud, le sue radici, e la città di Napoli in particolare, Mia Martini inserisce "Scenne l'argiento" di Enzo Gragniagniello, prosecuzione del percorso avviato con le precedenti composizioni del cantautore partenopeo: la cantante non vuole affatto rinunciare a questo tipo di repertorio, forte del consenso ottenuto grazie al successo di "Cu'mme" (incisa con Roberto Murolo e scritta dallo stesso Gragniagniello).
Ma le canzoni che ogni volta mi prendono di più (oltre a "Gli uomini non cambiano"), sono "Uomini farfalla" e le altre due scritte dal team di Bigazzi: "Versilia" e l'omonima "Lacrime". "Uomini farfalla" è di Maurizio Piccoli: si tratta di uno dei testi più belli in assoluto che Mia Martini abbia interpretato nella sua carriera. Aveva pensato di portarlo a Sanremo, ma la tematica era assolutamente improponibile, specie da una cantante come lei. È la storia di una donna che crede di poter amare due uomini molto amici tra di loro e poi scopre che i due di nascosto stanno insieme, il tutto raccontato con grande, grande poesia ("tenerezze quasi dure coltivate sul mio seno"). Davvero incantevole.
"Versilia" è stupenda, piena di immagini suggestive, nelle quali si perde la fantasia di una donna innamorata sullo sfondo di un'estate versiliana: la musica non è affatto banale e prevede passaggi anche abbastanza taglienti, che Mimì riesce a sfidare con la consueta bravura, malgrado gli sforzi di una voce non più limpida. Eppure è "quella voce" la cosa che forse amo di più di tutto l'album. Gli ultimi due dischi di Mia Martini sono straordinariamente emozionanti soprattutto per la voce: sicuramente più affaticata, ma così "vera" nella sua forza, nel suo vigore, nella sua sofferenza. La voce della vita, la voce della realtà, la voce della malinconia, la voce dell'amore. E poi, appunto, questa "forza" interpretativa, unica.
In "Lacrime", l'altro brano firmato da Bigazzi, Mimì vuole porre l'attenzione su un tema ben poco abusato nelle canzoni: le casalinghe nella loro infelicità. In quel periodo imperversavano già da diversi anni le pubblicità che ricalcavano lo stile "Mulino bianco" con la casalinga bellissima, sorridente, a volte anche ammiccante, che promuove un qualsiasi detersivo. Ma nella canzone la casalinga non è più quella del luogo comune, la moglie spensierata e soprattutto appagata, quello che piace credere a tanti uomini e anche a tante donne, illuse che nella loro vita possa esserci qualcosa di più. Perchè una casalinga può anche non essere contenta della propria vita, può anche essere insoddisfatta del rapporto col proprio uomo. Nella maggior parte dei casi è così. Spesso queste donne sono prigioniere di uno schema sociale che le vuole esclusivamente a servizio dei loro uomini, allora una casalinga può anche desiderare di morire quando il suo uomo non la ama e non la considera, quando cioè, cade nella disperazione. Per me è un tema molto serio, e una cosa che mi fa davvero incazzare è quella sorta di "razzismo" nei confronti di un ruolo, che invece io ritengo di fondamentale importanza nella società. Ne ho sentiti tanti di uomini stronzi che davvero credono che una casalinga non abbia pensieri solo perchè non lavora (che poi lavora molto di più in realtà). Ma poi anche se avesse dei pensieri, chi se ne importa? Sono gli stessi uomini che hanno una bassissima considerazione della donna in generale, e purtroppo sono uomini che non cambiano... Da qui le "lacrime": originariamente il titolo doveva essere "Lacrime nel Vim", ma il Vim fu poi sostituito dal più innocuo "Clean" (che non esiste), per paura che il testo venisse recepito come un cattivo spot per il celebre detergente della Unilever (evitando, dunque, eventuali ripercussioni legali). Se Mimì non voleva puntare il dito contro il Vim, di certo lo puntava contro la pubblicità e in generale contro tutto ciò che era spudoratamente falso, in questo caso all'insegna del maschilismo.
"Questo disco è dedicato agli uomini... di buona volontà".
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