VEDO DELLE MACCHIE

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Mentre, cadenzato, il suono si sostituisce al mio cardio, mi giunge un eco lontana, una lacrima, il passato.

ECO LONTANA.
ovatta.
quando penso all'ovatta, penso a cotone nelle orecchie, penso ad un tappo di cerume, penso ad acufene sostanzioso.
Questa volta il sibilo caldo e familiare proviene da oltre le montagne, dove una vallata gioca con le frequenze.
Gioca a drogarsi con l'ultima neve, in via d'estinzione.

UNA LACRIMA,
è solo acqua salata.
Piangere di rabbia non ti consola, piangere di tristezza non ti rincuora, piangere di felicità non è cosa da me; io piango dentro.
Sarà questa smodata lentezza che mi addolora mentre, qui disteso su un letto sfatto, posso addormentarmi e sbattere le ciglie per poi mantenerle ben serrate.
Ho una depressione dolosa e vorrei essere spento con acqua gelida.

IL PASSATO.
Sarà quella polvere ancora intatta nella zona industriale dei miei apparati interni, saranno i neuroni che giocano ad intermittenza, traducendo la lingua dei sentimenti in immagini comprensibili.
Una ritmo che puzzava di pomodori marci, un pezzo di legno con un chiodo troppo sporgente, un foro nel cemento da dove potevo vedere l'aula di educazione artistica, una corte di minuscoli sassolini quasi sferici dove le porte da calcio erano dei sottoscala, e la palla una pigna.
Tutto questo è nell'oblio dell'esistenza, unicamente della mia. Il mio universo ha un buco nero al centro che continua a mangiare e raccogliere cose, destinandole in un luogo talmente remoto che immaginarmelo mi distrugge.

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