Tombe peraltro a cui è stata data la forma di un endometrio:
il passaggio che porta all'utero, luogo per eccellenza per la creazione della vita, la nuova vita.
E il sacro detto sardo (adoperato oggi con volgarità nella bocca di molti stolti): «CI PÓTZAST TORRÁI IN SU KUNNU» (Possa tu tornare nella vulva, da dove sei venuto), è un augurio di rinascita attraverso l'utero materno.
I Sumeri già utilizzavano la parola KUN per designare la vulva; un sinonimo di kunnu è il termine udda: sta nel sumero UD Sole, Dio sole +A caso nominale locativo (non direzionale: indica infatti l'arresto in un luogo). Abbiamo pertanto UD-DA (questa è l’esatta forma sumerica) indicante la sosta finale, il riposo finale, entro il Sole.
Attenendoci a questa base etimologica, possiamo gettare un fascio di luce sulla nostra stranissima locuzione campidanese: «intránci in sa udda», imprecazione ottativa, desiderativa, rivolta con malanimo a uno che vogliamo mandare ehm, al diavolo.
Nonostante la connotazione negativa che si da al sintagma, presa per sé l'imprecazione non sarebbe affatto negativa (quanti di noi maschietti non sognano di penetrare il più spesso possibile nella vagina?).
Il sintagma "Intrái in sa udda" è una rara sopravvivenza che illustra la credenza dei Sardi pre-cristiani nella metempsicosi, nel ritorno all'Uno, al Dio Unico, allo Spirito Onnipotente, da cui poi sarebbero rinati.
Non possiamo dimenticare, infatti, che il concetto di Dio in quanto Essenza Unitaria dell' Universo, aveva la sua epifania proprio nel Sole, la Pura Luce, il Puro Spirito che generava il Mondo e l' Umanità e poi lo ricomponeva in Sé al momento della morte degli esseri viventi.
Foto 1 Tomba di Giganti di Osono, Triei (Núoro)

Foto 2 Pozzo sacro di Santa Cristina, Paulilátino (Oristano)
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