Non è facile quando un film da tutti applaudito a te fa cagare. Ti chiedi se sei sbagliato tu, se non l'hai capito, se ti sei impuntato su un dettaglio e hai dimenticato quanto è bello tutto il resto. Probabile che tra me e Revenge sia andata in qualche maniera simile, non lo metto in dubbio. Mi sono impuntato su alcuni passaggi per me inaccettabili e ho passato il resto del tempo a sbuffare e a cercare difetti. Ho ripetuto quattro o cinque volte agli amici: “Non è realistico”. Ed è grave, perché io sono lo stesso che accoglieva a braccia aperte tutte le incongruenze scientifiche di Gravity, che ha amato Interstellar nonostante certe scene molto fantasiose. Me ne frego della veridicità scientifica di un film: quando mi si danno delle regole, anche le più assurde, mi basta che poi le sequenze siano coerenti con quel dato sistema.
Revenge è ambientato nel mondo reale, ma la fisica, la medicina, la logica e la probabilità seguono delle dinamiche tutte nuove, banalmente finalizzare a far trionfare la vendetta della bella figa in locandina. Una che compare in scena sculettando in costume (e la regista non teme di indugiare troppo su quel culetto tanto bello) con la musica a tutto volume in una casa da sogno nel deserto. Dopo poco veniamo a sapere che è la scopamica di uno che ama andare a caccia con due compari balordi. Da lì parte il degenero che trasformerà la bambolina, così, dal giorno alla notte, in una killer spietata e inarrestabile, una donna ovunque capace di tutto.
Un Kill Bill dei poveri in versione #metoo, senza alcun approfondimento psicologico dei protagonisti. La ragazza è puramente vittima, le uccisioni da lei perpetrare non sono passibili di giudizio morale. Gli uomini sono dei mascalzoni sempre pronti ad abbassare la patta, furbi traditori, orridi maiali che litigano tra di loro invece di fare squadra contro la cacciatrice. Ovvio, confrontarlo con il capolavoro tarantiniano è operazione crudele, ma inevitabile vista la somiglianza delle vicende. Tutte le premesse, tutte gli orpelli, tutta la ricchezza ritrattistica utili a rendere più sofferta la vendetta di Beatrix vengono qui omessi in modo che la nostra possa uccidere senza problemi tizi che sembrano macchiette.
Ma l'operazione non è semplicemente frutto di imperizia; è voluta. Come in molti altri casi, si tratta dell'ennesima opera che vuole cavalcare l'onda del femminismo, e lo fa nel modo peggiore. Per dirne una, la nostra Jennifer dopo averne viste di tutti i colori si sveglia ferita e quasi senza sangue, ma poi si mette addosso la cartuccera e un paio di fucili, esce sull'altipiano e ci accorgiamo che è ancora una figa fotonica, tant'è che la regia ingenuamente indugia su tutti gli anfratti del suo magnifico corpo, esaltato da shorts e canotta alla moda. Il fango sui capelli ha fatto da tinta, la lattina rovente per cauterizzare uno squarcio le ha lasciato un tatuaggio da urlo. Inutile ricordare la Beatrix Kiddo in tuta gialla o quella che esce dalla tomba di Paula Shultz, tutta ricoperta di terra. Ripeto, è un esercizio crudele e impietoso.
Qualcosina di buono c'è, ma proprio poco. Le musiche synth pop anni Ottanta e il tanto sangue che scorre senza censure, pur nella scansione grottesca di molte scene. Il grottesco funziona se ha un senso, se vuole condannare qualcuno o qualcosa con una risata beffarda e sottile. Qui di sottile c'è davvero poco e quindi dà solo l'impressione di voler ridicolizzare i cattivi di turno, per far risplendere ulteriormente l'angelica eroina. Che tutto questo sia uno sberleffo alla cultura machista dominante al cinema? Può essere, ma manca il tocco raffinato per farlo emergere come film parodico. E io amo i film parodici. O comunque, se la prende con un tipo di film del tutto superato, che oggi non avrebbe successo tra il pubblico dei maschiacci. Molto meglio allora le proposte spregiudicate di Red Sparrow e Atomica bionda, quelli sono dei bei vaffanculo agli uomini.
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