Otto Von Schirach è uno di quegli artisti che può ambire al titolo di massimo sperimentatore vivente. L'opera del genio di Miami, emancipatasi sin da subito dallo stereotipo "idm" e avvicinatasi sempre piu al concetto di astrazione assoluta, è ormai una tappa fondamentale nella storia della musica elettronica (e non solo). Accanto al testamento dei secondi Autechre, Nurse With Wound e pochi altri, ha saputo far proprio un nuovo tipo di approccio all'elettronica, dagli accenti estremamente creativi e metafisici, che fa dell'incatalogabilità in qualsiasi genere pre-esistente e dell'innesto di una costante innovazione - sia formale che concettuale - il proprio coraggioso credo. Otto Von Schirach è di fatto uno dei più importanti compositori del nostro secolo.
Dopo un masterpiece di dimensioni bibliche, quale è da ritenersi il leggendario "8000 B.C.", Von Schirach prosegue il suo intervento al circolo Schematic pubblicando a breve distanza "Escalo Frio", album che, come il debutto che lo precedette, è frutto di molto tempo speso dietro il proprio armamentario, sperimentazioni e approcci da finto neofita che generano questi due lavori, ben presto proposti alla conterranea etichetta lanciata poco prima da Romulo Del Castillo e Joshua Kay, meglio noti come Phoenecia e autori anch'essi di un album storico ("Brownout") che contribuirà al mitologico 2001 targato Schematic, cui giganteggiano proprio i due primi dischi dello schizzato venuto da Miami.
Il secondo parto inizia dove il primo termina: schemi armonici dissonanti, cadenze meccaniche quasi industriali, tele espressioniste in uno stile aperto ed estroso avvolte in un denso magma di apocalissi rumoristica che si avvale di deviati poliritmi dislocati e de-frammentati in cui ogni suono è calibrato millimetricamente, quasi a richiamare certi mostri di concrèta memoria, rendono "Grandfatherclock" il biglietto da visita ideale per l'arte di Von Schirach. Il ritmo incessante da caotico kolossal digitale di "Coconut" disegna un rococò di tintinnanti figure glitch, un pandemonio di maniacali permutazioni noise che nel loro chirurgico geometrismo si eriggono ora più che mai a manifesto del suono Schematic. La maestria assoluta nel concepire intricate texture percussive e rimbombanti cartilagini di amorfo rumorismo si riflettono nella loquacità ritmica di "Educating The Sound Barrier", "The Moon Is Backwards To The Trees" e "Dr. Flamenco", dove rifiuti di sibili amelodici e frattali (a)ritmici mai così dissestati incontrano un rapping da ritardato mentale, un rap che nella sua intellegibilità e come accadde in maniera meno marcata sul debutto, è da ritenersi più una forma di spoken word come surplus (dis)armonico che un vero e proprio rap; "Fabric" e "Capital Letter Expansion" accennano invece a quella che in tempi più recenti per OVS diverrà una vera e propria missione, segnando gran parte delle sue ultime uscite, la riscrittura della mai troppo rimpianta miami-bass dei primi novanta, in forme che ne conservano lo scazzo, la tamarraggine e il culto per il basso, ma non rinunciando a brillanti riflessi elettronici di scuola più tipicamente inglese, attentamente vivisezionati, assemblati e processati, che si intrecciano e sovrappongono nell'oceano di tempi dispari e il tipico retroscena di sperimentazione rumoristica che è quanto mai sfoggio del virtuosismo di cui il prodigio americano è in possesso, più precisamente nella sintesi di suoni e strutture difficilmente udite prima.
In un certo senso la musica di Von Schirach riecheggia gli esperimenti compiuti da Bernard Parmegiani durante gli anni '70, riscrivendone i tipici poemi elettronici, ma sostituendo all'oggetto 'concreto' (in quanto evoluzione dell'incisione sul campo) il suono 'nuovo' (in quanto segmento mai udito prima e parto della mente) che ne è piena caratteristica: Otto Von Schirach, esplorando una vasta gamma di possibilità sonore, è allo stesso tempo annoverabile come prova fisica di fino a dove tali moderne tecnologie digitali per il lavoro del 'suono' (DSP), prima ancora che quelle di sintesi, possono realmente spingersi.
"Fog", "Sasquatch" e "The Chills" erigono un atmosfera futurista nel susseguirsi di articolati scarti digitali e macchinose scale idm che saranno più in là tipici del sound ultra-cervellotico di un Richard Devine (di cui è buon amico oltre che collaboratore); i deliri vocali e i gioviali contrappunti melodici tra cartoon e parodia di "Spooky Jar" e della folle "Yellos Staircase" fanno tesoro della lezione dei Residents (assistendo al classico dei classici, ovvero l'allievo che supera il maestro), mentre la stradaiola "Mr Egyptian Hologram" - che vede la collaborazione di due autentici assi dell'avanguardia digitale quali sono i Matmos - suona come un Dj Shadow completamente lobotomizzato. Si tratta di un bizzarro bozzetto di appena un minuto, e per certi versi memore dei collage 'popolari' di Fred Frith, che ha il compito di anticipare quelli che sono i due apici indiscussi del disco (alla satira di "Commercial Id+Add" e alle vignette extraterrestri "Man Beneath The Mask" e "Crumble" quello di stemperarlo): "Midget Halitosis" e "Shiver". Sulla prima, quello che l'orecchio percepisce è un autentico massacro di crepitii digitali, baccanali glitch, conati di rumore bianco in cui una raffica di suoni dissonanti in continua evoluzione va a delineare una sonata industriale per allucinazioni elettroniche, un vicolo cieco di rumoristica dada che scorre in in maniera apparentemente casuale, ma in realtà pervasa da forti cadenze psicanalitiche, seguendo il celebre formato 'susseguirsi di eventi imprevisti' che non può che richiamare esplicitamente - o riscrivere, a seconda della prospettiva - due numi assoluti del calibro di Steven 'Nurse With Wound' Stapleton e Karlheinz Stockhausen; con la seconda si ripetono le medesime nozioni, ma attraverso angolazioni più prettamente 'timbriche', tramite un aberrante impasto organico ricco di non identificabili effetti alieni, torture DSP, cupe vibrazioni e dilatazioni droniche lasciate fluttuare, dissolvere e rigenerare attraverso galassie sonore mai scoperte dagli umani. Le galassie della pura astrazione sonora.
Galassie nella quale la chioccia OVS, armato di tutte le proprie risorse elettroniche, ci guida con padronanza della situazione e piena conoscenza dei luoghi nel monumentale trittico "Lotto", "A Knock At The Door", "Crispy Hexagons", galassie in cui si materializzano chiari gli incubi surrealisti e i picchi di smarrimento che furono - e saranno - degli Autechre più astratti (leggasi "Confield" + "Untilted"), tracce nella quale vortici selvaggi di elettronica cerebrale immersi in una fangosa palude di rumore vengono solcati da multiformi onde sonore da cui emergono accenti sonici dal piglio fortemente cromatico, ora glitch ora breakcore, tra il drammatico, il mantrico e l'intimidatorio; un teatro del Suono a cui assistere con grande trasporto e coinvolgimento nel suo morboso martellare, nel suo rito orgiastico di effetti ultraterreni e propulsioni cosmiche che alludono al brain dancing più puro, quello che nemmeno coloro che ne hanno coniato il termine (artisti della Rephlex, Aphex Twin e Cylob in primis) hanno raggiunto in cotanta limpidezza.
Otto Von Schirach riesce a vomitare due statuari capolavori nei primi due dischi, due dischi che sono il testamento di un Genio. Poco altro da dire, a must-have.
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