Il death metal melodico (melodeath per gli amici) è un genere a suo modo strano. Nato nei primi anni novanta dall’unione del grezzo death con le melodie maideniane del decennio precedente, è un genere attorno al quale c’è sempre stata un po’ di confusione, sempre a mio avviso ovviamente! Forse sarà il fatto che conserva in parte il fascino della musica estrema, nonostante sia sicuramente più amichevole e approcciabile, allargando così di fatto il suo bacino d’utenza ed eliminando l’elitarismo che contraddistingue le colonne portanti del metallo più intransigente (death e black tanto per intenderci). Insomma il death melodico lo può ascoltare sia il metallaro medio che sa a memoria tutti i testi di Metallica e Megadeth, ma che non ha mai sentito parlare di Dark Angel, Death Angel, Testament e Forbidden, ma anche il neofita che pensa che Alexi Laiho sia un dio. Succede quindi che molti definiscano il melodeath semplicemente come il death metal svedese, visto che è nato in Svezia, ignorando completamente l’esistenza di Entombed, Dismember, Grave e compagnia grattugiante. Su un punto solitamente però sono tutti d’accordo: cosa rispondere alla domanda su chi ha inventato sto benedetto death melodico. Facile, direte voi, At the Gates, Dark Tranquillity ed In Flames. Ed è qui che si annoda il problema. Perché nessuno prende mai in considerazione gli Unanimated? Perché questo gruppo è relegato all’essere conosciuto solamente da quegli incalliti difensori del metallo più oscuro e plumbeo, coloro che conoscono tutti i gruppi old school che abbiano almeno un album con 90% di media su Metal Archives?
L’unica probabile risposta è perché il death melodico degli Unanimated è diverso dai tre gruppi precedentemente citati. Nella loro musica non c’è la furia hardcore di “Slaughter of the Soul”, non c’è l’eleganza di “The Gallery” e non ci sono neanche le melodie a presa rapida di “Subterranean”. Le canzoni del gruppo sono pervase da un alone oscuro e profondo, simile a quello che caratterizza i gruppi black metal, ed infatti il paragone che viene più spontaneo è quello con i Dissection e gli altri esponenti della miscela black/death (Necrophobic, Naglfar, Dawn, Sacramentum, Vinterland, Cardinal Sin, lo dico visto che sparare mille nomi di gruppi underground fa sempre figo) più o meno melodici a seconda dei casi.
Questa differenza di stile può essere benissimo apprezzata ascoltando il debutto “In the Forest of the Dreaming Dead”, datato 1993 e quindi in perfetta sincronia con il più celebre “Skydancer” dei più celebri Dark Tranquility, di conseguenza non si può di certo affermare che gli Unanimated siano arrivati tardi, al massimo si può insinuare il dubbio che una copertina così scialba abbia limitato la visibilità del gruppo. In fondo si sa: l’abito non fa il monaco, ma la copertina fa death metal.
L’album a dire la verità risulta ancora un po’ acerbo, sarà il successore “Ancient God of Evil” a consacrare il valore della band, però questa opera prima ha dalla sua alcuni passaggi atmosferici di rara bellezza, si senta ad esempio l’inizio di “Storms From the Skies of Grief”, e la stupenda strumentale conclusiva “Cold Northern Breeze”, la quale trasuda quella malinconia tipica degli animi solitari e selvaggi che vivono a contatto con una natura ostile ma al tempo stesso meravigliosa.
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