Andiamo avanti con queste sperimentazioni nord-europee e muovendoci questa volta in terra germanica con una nuova proposta della rassegna #buzz riguardante un gruppo che - chiaramente - non conoscevo e che mi è stato come sempre suggerito da @[ALFAMA] .

Dzyan - Electric Silence (Bacillus Records, 1974)

Un altro disco degli anni settanta di una band tedesca, un trio (reinhard Karwatky, Peter Giger, Eddy Marron) che non suona esattamente quello che chiamiamo kraut-rock, ma che in questo disco, denominato 'Electric Silence' e uscito nel 1974, pure richiamando alcune sonorità dei Popol Vuh, si avventura su percorsi diversi e che affrontano maggiormente sperimentazioni concettuali ambient e di tipo meditativo. Il disco è il loro ultimo album e si può definire come una specie di improvvisazione ai limiti dello sperimentalismo più estremo e dove si incontrano generi come il jazz fusion e i rimandi alla musica folkloristica orientale. Il disco si apre subito con uno dei pezzi più particolari, 'Back To Where We Come From', una lunga sessione sperimentale di nove minuti basata sostanzialmente sul suono sperimentale del basso e sull'uso di percussioni minimali e suggestioni sintetiche sottomarine fino a una deflagrazione noise finale in una serie di sovraincisioni. Caratteristico il suono delle marimba utilizzato in più occasioni. 'A Day In My Life' si può considerare praticamente come una versione strumentale beta di 'Tomorrow Never Knows' dei Beatles. 'The Road Not Taken' riprende concettualmente la prima traccia: sembra che l'esercizio praticato consista nel fare risuonare gli spazi vuoti, che si alternano prepotentemente a una solitaria chitarra acid blues fantasma in uno stile a metà tra la psichedelia anni settanta e Ry Cooder. 'Khali' è forse la traccia più interessante, praticamente una sessione di musica ambient spaziale mescolata alla tradizionale musica indiana con l'uso di tabla e sitar fino al raggiungimento di una estasi sinfonica che anticipa di qualche decennio gli Spacemen 3. 'For Early Thinking' (in una maniera più sperimentale) e 'Electric Silence' sono episodi più tipicamente jazz fusion e che forse aggiungono poco all'opera nel suo complesso, salvo confermare le grandi capacità tecniche del trio e la loro eccentricità nelle composizioni di ogni genere. Un disco sicuramente particolare e di cui vale menzionare l'autore della bella e particolare copertina: l'artista tedesco Helmut Wenske, che non conoscevo ma che sicuramente vale la pena approfondire, soprattutto considerando il mio culto per la cultura sci-fi.

Dzyan - Khali [Electric Silence] 1974
Seconda proposta per la rassegna #zot2017 e in cui come spesso può succedere caschiamo in un episodio di space music e psichedelia drone. Stavolta con un episodio non indimenticabile ma che magari sarà comunque apprezzato dai cultori del genere.

The Space Spectrum ‎– The Dark Side Of The Red Eyed Queen (Self-Released, April 26, 2017)

'The Red Eyed Queen' è un disco pubblicato dagli Space Spectrum, collettivo space/kraut di Rendsburg, Germania. Il disco usciva nel 2013 e poi un anno dopo per l'etichetta Cosmic Eye Records. 'The Dark Side of the Red Eyed Queen', che invece il gruppo ha voluto pubblicare lo scorso 26 aprile, non è altro che la versione originale del disco così come Nico Seel (il frontman e la mente del progetto) l'aveva presentato all'etichetta, prima di ri-registrare il disco con la band al completo e l'aggiunta di Nils Seel al basso, Kevin Klein alla batteria e Jan Davis Schulz al synth. Sicuramente non ci troviamo di fronte a registrazioni di alto livello qualitativo, ma le due lunghe traccie nella loro oscurità drone, sono comunque due interessanti momenti di space music caratterizzate dal suono potente del basso, ua batteria molto elementare (chiaramente il limite principale della registrazione) e riverberi e distorsioni che si sovrappongono l'una all'altra, amplificandone una certa pesantezza e nichilismo. Niente di indimenticabile, ma può piacere forse anche più dell'originale proprio per questo suo essere una opera incompiuta e embrionale, frutto dell'istinto più che di un lavoro accorto e elaborato.

The Dark Side Of The Red Eyed Queen | The Space Spectrum
Rassegna #buzz : beccatevi sti olandesi volanti. Ovviamente sempre suggeriti da @[ALFAMA].

Groep 1850 ‎– Agemo's Trip To Mother Earth (Philips, 1968)

Potrei sembrare ripetitivo, ma questo gruppo olandese proveniente dalla città di Den Haag suonava in una maniera avanti nel tempo di praticamente vent'anni. Il gruppo (Peter Sjardin, Daniel Van Bergen, Ruud Van Buren, Beer Klaaasse) si chiama Groep 1850 (oppure Group 1850) e 'Agemo's Trip To Mother Earth', uscito nel 1968 (Philips) è il loro primo LP. Il disco è oggettivamente molto bello e qualche cosa di sorprendente nel campo della psichedelia degli anni sessanta. Diciamo che il gruppo stava sicuramente sul pezzo: 'Reborn' è una tipica ballata psichedelica intrisa di sonorità orientali; 'Refound' riprende le suggestioni lisergiche dei Beatles; 'Ever Ever Green' ha le stimmate dei vecchi classici coniugati a un gusto psichedelico pop ancora tipico dei quattro ragazzi di Liverpool; 'I Know (La Pensèe)' così come 'A Point In THis Life' hanno dei passaggi che richiamano delle sonorità Stones del tipo 'Paint It Black' coniugati però a un certo ipnotismo e un uso dei cori che è tipico di questi pazzi olandesi volanti. Come ad esempio nella psichedelia-pop drammatica di 'Zero' oppure in 'Mother No-Head', una litania garage psichedelica dove i cori si sovrappongono tra di loro e a un certo punto in uno sperimentalismo autoironico sinfonico sentiamo le note di 'San Martino Campanaro'.'I Put My Hand On Your Shoulder' è la traccia sicuramente più sperimentale del disco. Si apre con evidenti richiami a una psichedelia tipica del periodo e che ricorda i FLoyd di Syd Barrett, l'introduzione è estatica, una pioggia di suoni e allegorie psichedeliche che collimano in visioni 'Sgt Pepper', fino a una chiusura con il classico Motorik 4 4 del kraut-rock e una acidità Amon Duul II. Se 'Misty Night' è un episodio di blues-rock tipico di quegli anni, tracce come 'Frozen Mind', 'Dream Of The Future' sono canzoni assolutamente in anticipo sui tempi per l'uso delle distorsioni e anche un certo nichilismo di fondo. Ma se tutto questo non bastasse ecco qua il furore di 'Fire' che può ricordare i Blue Cheer ma che a un certo punto sembra già hardcore e allora alla fine ti domandi se questi olandesi qui non avessero una specie di navicella spaziale per viaggiare nel tempo.

GROUP 1850 - I put my hand on your shoulder
Inauguro oggi la rassegna #zot217 e lo faccio nel migliore dei modi con un disco dalla bellezza sconvolgente. Per quanto infatti si tratti di un disco tributo, questo è una occasione imperdibile per riascoltare la riproposizione di un'opera fondamentale in una dimensione live perfettamente riuscita. Buon ascolto.

Brooklyn Raga Massive - Terry Riley In C (Northern Spy Records, October 06, 2017)

Terry Mitchell Riley, nato a Colfax il 24 giugno 1935. Quanti compositori e musicisti sono stati influenti quanto lui negli ultimi sessant'anni? Ispirata alla filosofia zen e ai raga indiani e il conseguente utilizzo di strumentazioni come il sitar e la tabla (oltre quelli più consueti della musica occidentale) la sua musica minimalista è costruita attorno a ritmi regolari e ripetitivi in maniera ossessiva cui si sovrappongono stratificazioni di suoni con giri melodici e armonici. La creazione di questa specie di mantra di carattere meditativo e allucinato ha anticipato molti dei temi tipici della psichedelia e della musica cosmica e ancora oggi si può dire abbia toccato vette nello sperimentalismo mai raggiunte. 'In C' (1964) è forse la sua opera più famosa e considerata la più popolare composizione minimalista in assoluto. Concepita per un numero ideale di 35 musicisti, si divide in 53 frasi e viene qui riproposta in maniera integrale dai Brooklyn Raga Massive (BRM), collettivo di musicisti addentro alla musica indiana e guidato da Neel Murgai (voce e sitar). Il collettivo composto da 18 musicisti ha eseguito interamente l'opera in più di 70 concerti. Questo qui è stato registrato al Joe's Pub di New York l'11 gennaio 2017. Penso che il giudizio più significativo su questa opera sia proprio quello di Terry Riley che ha dichiarato di non aver mai sentito un ensemble come questo suonare 'In C'. Capolavoro.

BRM All Stars Perform Terry Riley's "In C" at Art Cafe, Brooklyn

Ndr. Il video è un breve estratto di una performance di qualche anno fa all'Art Cafe di Brooklyn.
Forse la proposta più 'pop' (finora) della rassegna #buzz ma forse il modo migliorare per inaugurare questo nuovo anno 2018.

Segnalo che il disco era già stato puntualmente recensito da @[ALFAMA] qui: SPIRIT FEST - SPIRIT FEST - Recensione di ALFAMA

Spirit Fest - Spirit Fest (Morr Music, November 10, 2017)

'Spirit Fest' si può praticamente definire come un supergruppo. Tutto parte dall'interesse di Markus Archer (Notwist) per le musiche del duo giapponese Tenniscoats composto da Saya e Takashi. IL suo si è sempre contraddistinto al di là per il gusto pop tipico, per un certo sperimentalismo anche nelle modalità di esibizione dal vivo, che sono una specie di happening dove il duo di Tokyo dà spazio a immagini visuali e cerca di coinvolgere il pubblico nelle loro performances che avvengono in ogni luogo possibile. Dopo averli visti a Monaco di Baviera, Markus Archer combina l'incontro dei due con altri Mat Fowler (Jam Money) e CIco Beck (Joasinho, Alla Input): il risultato in soli 14 giorni di lavoro è questo disco eponimo uscito su Morr Music (ovviamente) e che di questa etichetta secondo me è la cosa migliore uscita da anni. Il gusto per l'elettronica minimale pop dei Tenniscoats si adatta alla perfezione a quello che è lo spirito dell'etichetta e ogni canzone costituisce un piccolo gioiello di serene e raggiose composizioni avant-pop accompagnate da sonorità a metà tra la tradizione giapponese e un certo retrogusto tipico degli chansonnier e le 'orchestrine' francesi. Un disco colorato, dove non mancano momenti di malinconia uggiosa quasi a la Belle and Sebastian e che per la sua spontaneità mi ha fatto pensare (con le dovute differenze) al disco eponimo d'esordio di Avi Buffalo. Un gioiellino. Un piccolo momento di luce e serenità da afferrare al volo prima che ritorni a piovere.

Spirit Fest: Rain Rain
Per l'ultimo giorno dell'anno 2017 ho una proposta per la rassegna #buzz che costituisce un'opera che siete tutti quanti chiamati a recuperare perché ci troviamo davanti a qualche cosa per cui dovremmo, come dire, tutti quanti toglierci il cappello e magari metterci in ginocchio sui ceci se non abbiamo mai sentito nominare questo artista (cosa che ho effettivamente dovuto fare).

Mikael Tariverdiev - Film Music (Antique Beat/Earth, November 20, 2015)

Mikael Tariverdiev (1931-1996) è stato un compositore sovietico, nato a Tblisi in Georgia. Storico collaboratore del regista Mikhail Khalik, Tariverdiev ha lavorato a oltre 130 film nel corso della sua vita, ha scritto musica classica per oltre cento romanze, balletti e opere teatrali. Ha vinto 18 premi internazionali, tra cui lo USSR State Prize (1977), l'American Music Academy (1975) ed è stato premiato come artista dell'anno in Russia nel 1986. Parliamo praticamente di uno dei massimi artisti sovietici in assoluto e di un compositore che ha fatto oltre che la storia della musica anche quella del cinema. La storia di questo disco è molto particolare. In realtà infatti la sua pubblicazione si deve a Stephen Coates dei Real Tuesday Weld. Si trovava in un pub di Mosca, quando alla radio ha sentito della musica di cui si è immediatamente innamorato. Ha chiesto alla cameriera cosa fosse. Lei gli ha risposto, 'Qualcosa dei vecchi tempi.' Dopo un lavoro di ricerca ha scoperto che era la colonna sonora di un film proprio di Mikhail Kalik intitolato 'Goodbye Boys' (1964). Il passo successivo è stato contattare la moglie di Tariverdiev, deceduto nel 1996, la signora Vera Tariverdieva, con cui ha fatto una selezione delle tracce del compositore tra cui alcune versioni inedite. Il risultato è un triplo LP pubblicato su Antique Beat (l'etichetta di Coates) e Earth nel novembre 2015. Vi devo mica ripetere che si tratta di una pubblicazione imperdibile? Buon anno nuovo a tutti.

Mikael Tariverdiev - Expectation of the New Year

@[ALFAMA] qui ti sei giocato proprio il jolly. È stata una vera rivelazione scoprire questo grandissimo artista.
Purtroppo la rassegna #zot2016 si conclude senza fuochi d'artificio e con un disco che mi è stato suggerito, ma che mi ha francamente deluso, tanto che ho fatto quasi fatica ad ascoltarlo. La vita va così.

Wolf People - Ruins (Jagjaguwar Records/Goodfellas, November 11, 2016)

Anche l'ultimo disco dei Wolf People (Jack Sharp, Joe Hollick, Dan Davies, Tom Watt), uscito lo scorso 11 novembre 2016 su Jagjaguwar/Goodfellas si ispira come altri dei dischi usciti in questi ultimi due anni nel panorama alternative del Regno Unito a questioni di natura politica e sociale. In 'Ruins' il tema concettuale dominante in una ambientazione in un Inghilterra definita come una nazione imbastardita e dove gli spazi sono stati venduti e pavimentati, illuminati al neon, è quello di una natura che rivendica il suo spazio a dispetto delle persone e restituendo in questo modo il mondo al suo antico splendore. Per la verità il tema sembra avere attinenza e riferimenti anche a quello che è il mondo musicale perché questo disco registrato tra il Devon, l'Isola di WIght e Londra, si configura anche come un manifesto contro la musica pop contemporanea (in particolare il brit-pop e l'hip-hop, che avrebbero sostituito saccheggi, catene e scrofolosi) da combattere a tutti i costi con una certa passione e referenza nei confronti della musica degli anni settanta e in particolare il rock acido di gruppi classici della tradizione rock anglosassone, Deep Purle, Jetrho Tull, Black Sabbath. Il disco effettivamente riesce nel suo intento sfumando qua e là il suono con accenni di stoner psych che possono ricordare gli Arbouretum più 'istituzionali' e alcune influenze dalla psichedelia nordica. Ma il contenuto nel suo complesso ci appare completamente fuori dal tempo e sono abituato a guardare al tempo presente oppure in avanti per risolvere i 'problemi' che mi circondano, di sicuro non a partecipare a questi revival dove peraltro anche i modelli originali non mi hanno mai interessato. Mi viene in mente che in generale le varie proposte della Jagjaguwar mi deludono più o meno sempre. Lasciate perdere questo disco comunque adesso e entrate con nuovo vigore nel nuovo anno 2018. Peccato perché ha una copertina veramente molto bella.

Wolf People - Ninth Night (Official Video)
La rassegna #buzz propone un disco di una coppia di scrittori di canzoni così bravi che mi sembra impossibile io non abbia mai - prima di oggi - sentito parlare di loro. Thank you @[ALFAMA].

Chad & Jeremy - Of Cabbages and Kings (Columbia Records, 1967)

Chad Stuart e Jeremy Clyde si conobbero alla scuola di recitazione drammatica di Lonra nel 1962. Fu lo stesso Chad che insegnò a Jeremy come suonare la chitarra. Per lo più, per quanto riguarda le parti cantate, era Jeremy a intonare la melodia, mentre Chad cantava le parti più alte e i cori. Il disco 'Of Cabbages and Kings' uscì nell'autunno 1967 su Columbia Records con il titolo 'Chad Stuart and Jeremy Clyde'. Mi sorprendo colpevole nel non avere mai sentito parlare di loro due perché questo disco è semplicemente bellissimo. Il disco mescola sonorità pop e folk degli anni sessanta che da 'I'll Get Around To It' a 'Can I See You', da 'Family Way' a 'Rest In Peace' ricordano i Byrds e la sensibilità e la leggerezza delle composizioni di Simon & Garfunkel. In particolare credo di non sbagliare nel menzionare riferimenti alla scrittura di Gene Clark. 'BUsman's Holiday' ricorda in parte la 'Love Street' dei Doors ma è comunque anch'essa intrisa di sonorità Byrds e beatlesiane. Qua e là ci sono accenni di psichedelia Syd Barrett. Ma il cuore dell'album è la lunga sessione psichedelica di venticinque minuti di 'The Progress Suite'. Francamente qualche cosa di sontuoso e dove il duo condensa assieme i Beatles di 'Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band', le visioni più allucinate degli United States of America e lo stile compositivo di Burt Bacharach. Una pura manifestazione di genio.

Chad & Jeremy - Family Way
Pet Shop Boys - The Pop Kids (Official Lyric Video)

Mi unisco alla settimana PET SHOP BOYS.
Penultima pagina della rassegna #zot2016 che già so che vi mancherà moltissimo...

CHOCOLAT - Rencontrer Looloo (Beyond Beyond Is Beyond Records, November 11, 2016)

Per quanto ne sappiamo Looloo è una specie di gigantesco semidio proveniente dalle montagne di Marte e creato dalle polveri interstellari, gli piacciono i pretzel e la Cherry Coke, ma soprattutto l'hard rock. E effettivamente di hardrock in questo disco dei canadesi (da Montreal, Québec) CHOCOLAT (Jimmy Hunt, Ysaek Pépin, Emmanuel Ethier, Brian Hildebrand, Christophe Lamarche-Ledoux) e denominato 'Rencontrer Looloo' (Beyond Beyond Is Beyond Records) ce ne sta parecchio, tanto che a partire dalla copertina vi si possono cogliere certi riferimenti vintage a quel genere che non sono caratteristici di questa fase particolare nel mondo della musica alternative ('Ah Ouin', 'Golden Age', 'Retrouver Looloo', 'Looloo', 'Les Géants', 'Le Faucon, Le Chacal Et Le Vaisse') sebbene qualche somiglianza nei riff fulminanti di chitarre con quale creazione dei King Gizzard and the Lizard Wizard ci possa benissimo stare. Altri episodi riguardano una scrittura più particolare e arrangiamenti più soft e molto ricercati come nei casi di 'On Est Meilleurs Qu'R.E.M.' oppure 'Les Pyramides', la strumentale 'Koyaanisqatsi (Apparition)' e 'Mars', che ricorda un certo David Bowie da 'Space Oddity' e la ballata per piano 'Les Mésanges'. Belle canzoni che danno a questo disco una doppia faccia, ma questo è un problema francamente irrilevnate perché ogni canzone ha una durata così breve che il passaggio da un pezzo a un altro quasi non si avverte e la carica adrenalinica che trasmette resta alta dall'inizio alla fine.

Chocolat - Mars
Sempre avanguardia svedese per la rassegna 'buzzin' sound' aka #buzz e questa volta con un disco, caro @[ALFAMA], che definire complicato è poco. A partire dallo stesso titolo dell'album. Buon ascolto.

Algarnas Tradgard - Framtiden ar ett Svavande Skepp, Forankrat I Forntiden (1972)

Sempre dalla Svezia una delle realtà sperimentali più interessanti e 'avanti' dei primi anni settanta. Gli Algarnas Tradgard sono un sestetto e si formano nel 1969 guardando al kraut-rock e alla space music e in particolare ai soliti immancabili Tangerine Dream e Ash Ra Temple. Pubblicano il primo e unico LP, un classico, denominato 'Framtiden ar ett Svavande Skepp, Forankrat I Forntiden' nel 1972. Si tratta di un'opera complessa e dove l'ossessività kraut-rock e la space music si fondono con la tradizione folk scandinava e apre a rituali del Nord Europa. 'Tva timmar over tva bla berg med en gog pa varder sidan, om timmarna alltsa', la traccia che apre il disco è sicuramente quella più particolare e dove in tredici minuti la band sfodera tutto il proprio campionario in tredici minuti che sono una specie di viaggio nella controcultura nordeuropea dell'epoca. Le altre tracce hanno invece una composizione più omogenea. 'Det finns en tid for allt, det finns en tid da aven tiden mots' introduce temi di musica folk psichedelica nordeuropea che ricompaiono anche nella ballata folk 'Mojiligheternas' che combina atmosfere nordiche con atmosfere orientali tipiche della psichedelia, 'Tristans Klagan'. 'Viritidas' è una traccia rumorista strumentale, jazzata e sommersa in un complesso di distorsioni della voce e del suono degli strumenti. 'Saturnus Ringer' un episodio di rock psichedelico più convenzionale e solo strumentale. '5/4' è il pezzo più tipicamente kraut-rock del disco. 'Framtiden ar ett svavande skepp, forankat i forntiden', la title-track, e 'The Mirrors of Gabrie' costituiscono invece i momenti più ambient in un disco la cui varietà nei contenuti va ricercata nella sua natura sperimentale e che non a caso fa di questo lavoro un prodotto unico.

Algarnas Tradgard - Saturnus Ringar
Prosegue verso l'infinito e oltre la rassegna #buzz che propone per lo più dischi sperimentali e che sono suggerite dal mio compagno di console @[ALFAMA] . Oggi vi proponiamo una proposta made in germany dai primi anni settanta e che è esattamente kraut quindi occhio.

Et Cetera - Et Cetera (1971)

In questo caso entriamo con tutti e due i piedi letteralmente in una dimensione alterata e in un pezzo di storia della musica tedesca sperimentale probabilmente meno conosciuta rispetto alle pubblicazioni tipicamente kraut-rock. Wolfgang Dauner (1935), pianista e compositore d'avanguardia, mette in piedi questo collettivo nel 1970 denominato Et Cetera con il chitarrista Sigi Schwab e il batterista Fred Braceful e pubblica questo LP omonimo nel 1971 che è una specie di piccolo capolavoro (seguirà nel 1973 la pubblicazione di 'Knirsch' con il chitarrista Larry Coryell e il batterista Jon Hiseman). Registrato a Londra agli Orange Studios con il percussionista Roland Wittich e il bassista Eberhard Weber il disco si compone di episodi di jazz sperimentale rumorista ('Thursday Morning Sunrise', 'Milkstreets'), la suggestiva 'Lady Blue', i rimandi alla musica indiana di 'Mellodrama' e dei quindici minuti di 'Raga', dove si contempera la vena sperimentale di Dauner con le capacità strumenali di Schwab e Braceful. Molto particolare e avveniristico.

Wolfgang Dauners Et Cetera- Milkstreets.wmv
Penso sia tipo il penultimo episodio della rassegna #zot2016 e nel quale suggeriamo un disco dal grande potenziale secondo me inespresso e che fa di questo gruppo, una band di cui seguire l'evoluzione e per cui simpatizzare a causa della loro ossessione per le tette. Che naturalmente condivido.

Boobs Of Doom - (((WHITE NOISE))) (Self-Released, June 06, 2016)

La scelta del nome che questo duo scozzese autodefinitosi electrodoom ha voluto dare al proprio progetto è sicuramente divertente e dà un'idea forse di quanto i nostri eroi sappiano essere eccentrici e autoironici. Cominciamo con il precisare che in realtà di doom in questo disco non ce n'è poi così tanto. A parte la traccia numero tre, denominata 'Liquid Dinosaurs', le cui sonorità sono effettivamente tipicamente doom per poi deviare verso varianze stoner psych, ma che costituisce una eccezione nel complesso dell'album. Per il resto infatti '(((WHITE NOISE)))' è un disco particolare nel genere della musica neo-psichedelica e in cui il duo ripete in più meno tutte le composizioni sempre la stessa formula, partendo da lunghe sessioni di musica ambient e trip-hop, quasi sulla scia di alcune composizioni dei Massive Attack che vengono gradualmente contaminate da suoni drone e post-industrial. Un disco solo strumentale che mostra grandi potenzialità che se incanalate con maggiore attenzione potrebbero in futuro sfociare in qualche cosa di più compiuto. Comunque non male per un paio di tette. Cioè, diciamo che trattandosi di tette, il risultato doveva essere per forza positivo.

BOOBS of DOOM - (((WHITE NOISE))) full album
Ultime cartucce per la rassegna #zot2016. Eccovi un EP prodotto da Anton Newcombe.

The Cobra Lamps - The Cobra Lamps EP (A Recordings, July 29, 2016)

Un progetto di Barrie Cadogan (occasionalmente collaboratore dei Primal Scream), chitarrista e songwriter di Nottingham ma insediatosi nella City londinese e che ispirandosi alle sonorità psichedeliche dei Brian Jonestown Massacre e al rock più duro dei Dinosaur Jr ha per ora all'attivo la realizzazione di questo EP eponimo pubblicato proprio dalla label di proprietà di Anton Newcombe, la A Recordings. Nel disco ci sono quattro tracce. L'EP ricorda effettivamente alcune sonorità più tipicamente british a partire dagli stessi Primal Scream oltre infusioni di Dandy Warhols e accenni di groove Chemical Brothers. Il sound tipicamente garage è qua e là influenzato da varianze psichedeliche Spiritualized oppure Brian Jonestown Massacre in un lavoro che in definitiva possiamo definire appena che sufficiente per assenza di prove.

Known To All
Spariamo gli ultimi colpi della rassegna #zot2016 prima di rassegnarci alla fine dell'anno 2017. Oggi abbiamo un disco italiano.

Alessandro Adriani - Montagne trasparenti (Mannequin Records, April 05, 2016)

Alessandro Adriani è il fondatore della Mannequin Records, una etichetta italiana nata a Roma nel 2008 ma che ha 'traslocato' per ragioni di opportunità a Berlino e specializzata in offerte minimal synth e cold-wave. L'etichetta si distingue quindi per quelle che sono scelte ben precise nelle sue produzioni e che possono anche riguardare ristampe di lavori 'occulti' realizzati negli anni passati. In questo caso tuttavia ci troviamo di fronte a un LP completamente nuovo e realizzato dallo stesso Adriani con la collaborazione di Willie Burns. Registrato tra Roma e Berlino 'in vari anni di viaggi, composizioni e lotta con i cavi e le macchine', 'Montagne trasparenti' è un album di elettronica minimale che concettualmente - curiosamente - ha ispirazioni che non sono lontane a quelle di 'Planetarium' realizzato di recente da Stevens, Muhly, Dessner, McAlister, anche se il sound delle composizioni è differente dal neo-classicismo proposto da Stevens e compagni e si configura diversamente invece in un certo kraut ossessivo in slow-motion ('L'acqua di Nettuno', 'Fuoco', 'Rotazione Sincrona'), dark ambient e cold-wave ('Fase Lunare I', 'Verso lo Zenith', 'Attraverso le asperità', 'Fase Lunare II'), compulsioni electro-trance ('Pianeta rosso','Montagne trasparenti'). Un lavoro nel complesso sicuramente interessante e che potrebbe diventare oggetto di culto e attenzioni per gli estimatori del genere. Comunque una etichetta da tenere sott'occhio, soprattutto se vi piacciono composizioni elettroniche minimali, cold-wave e sonorità goth.

ALESSANDRO ADRIANI l'acqua di nettuno
Vi auguriamo un buon natale con un nuovo capitolo imperdibile della sezione #buzz.

Auguri @ALFAMA.

Canaxis 5 - Technical Space Composer's Crew (1969)

Nell'ultimo anno progetti come Tau, JuJu hanno voluto guardare oltre i confini del mondo occidentale e contaminare il loro sound psichedelico con sonorità caratteristiche e cercato di conferire alle loro composizioni quell'aspetto che definiamo in maniera forse limitata come world-music. Praticamente cinquanta anni fa Holger Cuzkay, ancora prima di pubblicare i suoi primi lavori con i Can registrava questo disco a nome Canaxis 5 che era effettivamente sul piano concettuale e musicale avanti anni luce nel tempo. Allievo di Karl-Heinz Stockhausen, con questo lavoro denominato 'Technical Space Composer's Crew' (1969) e realizzato con l'apporto del tecnico Rolf Dammers, Czukay realizzava due lunghe sessioni di musica elettronica sperimentale e psichedelica ('Boat Woman Son' e 'Canaxis') nella quale letteralmente rielaborava due nastri che contenevano dei canti tradizionali vietnamiti. Il primo è una specie di litania ossessiva, una traccia intrisa di visioni mistiche e allucinate, mentre la seconda si apre con suoni che si possono considerare dei prodromi della musica drone e si apre via via gradualmente fino a divenire una sessione di space ambient. Il disco si conclude poi con una breve pubblicazione originale di Cuzkay che collocherei nell'ambito della musica elettronica sperimentale e direttamente alle lezioni impartite dal suo maestro Stockhausen. Un'opera innovativa ma di grandissimo effetto e la cui grandezza rimane immutata nel tempo.

Technical Space Composer's Crew - Canaxis 5 (Full Album)
@[G] l'upgrade secondo e è ottimo. Mi domandavo però se non riuscissi per caso a fare qualcosa di ancora più elementare in uno stile che possano comprendere anche i teletubbies, tipo:

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